Per promuovere il senso di responsabilità, la produttività e l’apprendimento condiviso molte organizzazioni creano ambienti di lavoro aperti e raccolgono cumuli di dati su come gli individui impiegano il proprio tempo. Alcuni anni fa il professore della Harvard Business School, Ethan Bernstein, decise di trovare l’evidenza empirica che questo tipo di approccio migliora le performance dell’organizzazione. Ciò che ha scoperto è che questo tipo di trasparenza spesso ha delle conseguenze non volute: può far sentire i dipendenti vulnerabili ed esposti. Quando succede, finiscono col nascondere i comportamenti che deviano dalla norma in modo da non doverli spiegare. In circostanze sperimentali non predisposte si arriva anche a uno stop.
Ma Bernstein ha anche scoperto organizzazioni che hanno ricavato zone di privacy all’interno di ambienti aperti definendo quattro tipi di confini: fra team, tra feedback e valutazioni, tra diritti decisionali e diritti di miglioramento, e fra periodi di sperimentazione. Per di più, secondo numerosi studi, le aziende che hanno fatto tutto ciò sono state quelle che hanno ottenuto dai loro dipendenti il lavoro più creativo, efficiente e meditato.
Le conclusioni di Bernstein? Trovando un buon equilibrio fra trasparenza e privacy, le organizzazioni possono catturare i benefici di ambedue e incoraggiare quel tanto di “devianza positiva” che serve ad aumentare innovazione e produttività.