Alessio Tanganelli è country manager Italia di Top Employers Institute
Il perdurare della crisi ha avuto importanti riflessi all’interno delle organizzazioni aziendali anche, se non soprattutto, per quanto riguarda nuovi valori e nuove modalità nel rapportarsi con le persone. Una vera rivoluzione che ha coinvolto in primo piano gli apparati HR, che si sono trovati a dover affrontare nuove esigenze, a rimodellare disegni e stategie e ad affrontare nuovi modelli relazionali con le persone in azienda. Non ultimi, manager e prime linee, cui viene sempre più chiesto un nuovo ruolo e una rinnovata capacità di leadership.
Engagement come fattore competitivo
In un mercato del lavoro “malato”, segnato da scarso ricambio generazionale, slittamento in avanti dell’età pensionabile, difficoltà di ingresso di nuove risorse e dal paradosso di una crescenta disoccupazione a fronte della difficoltà del trovare le “persone giuste per il posto giusto”, una maggiore attenzione per le risorse già presenti in azienda si trasforma, in ultima analisi, in fattore competitivo.
Le ricerche effettuate da Top Employers Institute – ente di certificazione globale delle eccellenze in ambito HR – su oltre 850 aziende in più di 70 Paesi di tutti i continenti, tra cui 51 in Italia, hanno evidenziato come nel 2014 l’engagement sia diventato la priorità numero uno delle aziende seguita da altri valori quali cambiamento culturale, gestione del talento, sviluppo della leadership, apprendimento e sviluppo, a testimonianza delle mutate esigenze e trend aziendali, che vedevano fino all’anno scorso la gestione del talento al primo posto.
Nell’ottica di un engagement sempre più mirato e approfondito, con studi a riguardo aumentati dell’11% da un anno all’altro (62% nel 2014 a fronte di un 51% nel 2013), rientrano le strategie di integrazione dei nuovi dipendenti, che vanno dall’incontro con la funzione HR, ai corsi di avvio su mission, valori e visioni; alle visite e presa di contatto all’interno delle organizzazioni; alla consegna del “libretto del dipendente” (cartaceo o on line) con i dettagli delle politiche e norme HR fino all’incontro con il Ceo.
Corsi su mission e valori in aumento
I programmi di sviluppo mirati rivestono, ovviamente, un’importanza fondamentale e vengono declinati a più livelli e proprio a livello di corsi su mission e valori è da segnalare un importante incremento: nel 2014 sono stati effettuati dal 96% delle organizzazioni, rispetto all’89% dell’anno precedente. Un altro dato significativo riguarda un + 9% di attenzione verso i percorsi di carriera, fino a non molti anni fa riservati in massima parte ai “piani alti” o middle manager, ma che hanno visto recentemente un importante incremento anche a livello di staff, dove vengono effettuati nel 60% dei casi nel 2014 (nel 2013 erano il 51%).
Ancora una volta le cifre dimostrano quanto sia sempre più importante, per le aziende e la funzione HR in particolare, motivare i dipendenti con argomenti e strategie che vanno oltre la retribuzione; creare una fidelizzazione importante dei talenti migliori; gestire le competenze e l’esperienza dei senior; prestare attenzione a una corretta pianificazione delle carriere seguendo il principio che un ambiente di lavoro ottimale è un elemento competitivo in grado di favorire la crescita non solo professionale, ma anche personale e umana delle persone, e questo si traduce, a sua volta, in potenzialità di sviluppo e crescita anche a livello aziendale.
Nuova identità dei leader: l’Italia resta indietro
Motivazione che deve partire dall’alto, perché nella nuova realtà aziendale diventa sempre più importante il coinvolgimento di tutti e anche i top manager devono affrontare il cambiamento, mettendosi in gioco e in discussione, affrontando percorsi formativi ed esperienze di mentoring e/o coaching per meglio mettere a fuoco e affrontare nuove esigenze e priorità, nonché ridisegnare, in parte, ruoli e caratteristiche di leader. Ma purtroppo, e non a sorpresa, i dati relativi alla nuova identità e le caratteristiche a livello di leadership emersi dalla ricerca globale di Top Employers Institute evidenziano come l’Italia segni il passo e presenti cifre non allineate e in percentuali inferiori alle medie europee.
Solo il 48% dei manager italiani è formato per ricoprire un ruolo di coach, a fronte di un 62% nel resto d’Europa. I programmi di mentoring per top manager sono effettuati in Italia nel 35% dei casi (Europa 65%); a livello direzionale nel 50% (Europa 71%); per quadri e middle manager 56% (Europa 71%).
Ancora più impietoso il dato che si riferisce all’assegnazione di un mentore a livello direzionale: in Italia capita nel 27% dei casi, a fronte di un dato europeo del 63%.
Se invece si osservano i dati relativi ai programmi di coaching, la forbice col resto d’Europa si riduce: programmi di coaching per top manager Italia 71 % - Europa 81%; a livello direzionale Italia 79 % - Europa 84%, fino ad annullarsi per quanto riguarda i programmi di coaching rivolti ai middle manager, dove Italia e Europa si assestano su un identico 73%.