“Average is over”: la media è finita! Con queste parole ammoniva il pubblico l’editorialista premio Pulitzer del New York Times Thomas Friedman a un convegno sulla globalizzazione e gli effetti delle tecnologie di comunicazione sul mondo delle professioni tenuto all’American Public Works Association. Il termine media, però, non sottende la definizione statistica, il riferimento è al livello della conoscenza professionale. Lo standard di competenze richieste dal mercato del lavoro odierno è in continua ridefinizione: in pochi anni il livello standard che garantiva l’occupazione è stato superato per effetto delle nuove tecnologie e per chi non si è adeguato il lavoro è scomparso, o meglio è cambiato. Oggi è indispensabile lavorare impegnandosi mai come prima per “trovare il proprio plus”, che implica superare i confini del proprio ruolo per diventare innovatori. Creatività, motivazione, collaborazione e comunicazione sono elementi strategici per i lavori più qualificati. Per difendere la professione Friedman suggerisce di pensare:
Come un immigrato: entusiasta di essere in un Paese che offrirà le opportunità di una vita migliore, ma nello stesso tempo terrorizzato dall’idea di perdere tutto all’improvviso. Per questo motivo bisogna migliorare continuamente per essere all’altezza.
Come un artigiano che firma il suo lavoro: orgoglioso della propria opera.
Come uno studente che non pensa mai di essere esperto e rivede sempre la propria preparazione: imparare continuamente!
Come un imprenditore: Il quoziente di personalità e quello di curiosità sono più importanti di quello di intelligenza.
Apprendimento continuo, motivazione, creatività, curiosità e intraprendenza: questa la ricetta di chi non sarà mai disoccupato.
In tema di globalizzazione, parallelamente, il sociologo Zygmunt Bauman parla del declino e scomparsa dell’organizzazione economica che andava sotto il nome di «fordismo» e che garantiva sicurezze e solidità sociale, anche grazie alla redistribuzione della ricchezza da parte di uno Stato capace di provvedere alla copertura di molti bisogni, in primis la «protezione» sotto forma di assicurazione collettiva contro gli imprevisti e necessità individuali. La fabbrica fordista era la «esemplificazione dello scenario di modernità solida in cui si stagliava la maggior parte degli individui …» L’esaurirsi di quella fase, dovuta alla pressione di forze globali, e indipendente dalle politiche dei singoli Stati, ha trasformato la nostra vita, ci ha reso "società aperta" nel senso di società "esposta ai colpi del destino". Siamo entrati così nella fase della modernità liquida. Nella modernità attuale tutto è permeato dalla "liquidità", la caratteristica di base dei fluidi che non possono mantenere una forma perché non hanno una coesione interna. Il mondo di oggi non ha né la struttura, né la solidità di un tempo.
Siamo quindi di fronte ad un cambiamento di tale portata che ci obbliga a ridefinire tutti i postulati che hanno guidato la società fino ad oggi, a partire dal sistema della formazione e dello sviluppo delle competenze. Le competenze richieste oggi sono imperativi categorici: flessibilità, capacità di innovazione, learning mindset e intelligenza sociale.
Le soft skills sono quindi la chiave per competere nella società liquida. Dopo la fase contingente improntata all’efficienza, le imprese sono tornate a investire sullo sviluppo delle risorse, consapevoli del fatto che per competere globalmente le hard skills non sono più sufficienti. I temi principali riguardano lo sviluppo delle competenze di leadership in quanto la fluidità organizzativa oggi richiede manager aggregatori di conoscenze anzichè detentori di competenze, mentre a livello produttivo aumentano i percorsi di apprendimento delle tecniche di creatività.
Negli ultimi anni i casi di innovazione di successo (Apple in testa) basati sulla rottura degli schemi convenzionali sono stati così frequenti da meritarsi lo sviluppo di una teoria ad hoc. Gli Oceani Blu sono gli esempi visibili di quanto sia indispensabile la capacità creativa nel sistema di competenze.
Ora, se proviamo a fare un piccolo esercizio di astrazione per trovare un modello predittivo del trend della professione sul mercato del lavoro, la nostra toolbox di marketer ci offre una interpretazione molto chiara del fenomeno: siamo di fronte a un mercato competitivo con una domanda stagnante; il nostro prodotto (la conoscenza) sta esaurendo il suo ciclo di vita e occorre il redesign (formazione) per prolungarne la sua durata. Con questi interventi si può prolungare ciclicamente la vita di una professione, differenziandola dai concorrenti. Ma è l’unica possibilità? Sicuramente no, esiste anche la strategia di prezzo: dovremo accettare un impiego inferiore; consideriamo però che i competitor non saranno, come in passato, i vicini di scrivania, ma piuttosto altri che in un qualunque angolo del pianeta saranno disposti a lavorare per una frazione del salario, perché la competenza senza formazione continua altro non è che un bene indifferenziato, ossia una commodity .
Come ha detto Peter Drucker, «Il miglior modo di predire il futuro è ….. crearlo».
Mauro Chiarlo è Consulente di Direzione, AISM - Associazione ItaIiana Marketing, Marta Fiore è Talent Practice Leader, Right Management - Manpower Group.