Adriano Olivetti: una visione illuminata della relazione tra lavoro e vita privata

di Marcello Russo  |  Venerdì, 14 Giugno 2013

Adriano Olivetti (11 Aprile 1901 – 27 Febbraio 1960) può essere considerato un imprenditore visionario nel panorama economico-aziendale Italiano. Questa sua reputazione é frutto non soltanto delle sue straordinarie capacità manageriali e del design rivoluzionario dei suoi prodotti (si veda la celebre Lettera 22), ma anche e soprattutto, dal suo tentativo di adottare un modello di gestione aziendale utopistico per quel periodo. Olivetti riconobbe nei lavoratori la chiave del vantaggio competitivo per la sua azienda e nell'integrazione tra la loro vita lavorativa e privata un elemento cruciale per favorirne la crescita e lo sviluppo personale oltre che professionale. Nei suoi celebri discorsi, pronunciati ai lavoratori degli stabilimenti di Ivrea e Pozzuoli negli anni '50, Adriano ha esortato più volte i suoi dipendenti a riconoscere il profondo legame spirituale che esiste tra l'azienda e i suoi collaboratori e a svolgere quotidianamente il proprio lavoro con spirito di cooperazione, supporto e reciproco rispetto. Per illustrare tale concetto, di seguito sono presentati due brevi estratti di tali discorsi, integralmente riproposti nel volume Ai Lavoratori (2012) pubblicato dalla casa editrice Edizioni di Comunità: «Perché lavorando ogni giorno tra le pareti della fabbrica e le macchine e i banchi e gli altri uomini per produrre qualcosa che vediamo correre nelle vie del mondo e ritornare a noi in salari che sono poi pane, vino e casa, partecipiamo ogni giorno alla vita pulsante della fabbrica, alle sue cose più piccole e alle sue cose più grandi, finiamo per amarla, per affezionarci e allora essa diventa veramente nostra, il lavoro diventa a poco a poco parte della nostra anima, diventa quindi una immensa forza spirituale» (Olivetti, 2012: p.33). «A noi dirigenti spetta tutta la responsabilità di farla diventare [l'azienda] a poco a poco una cellula operante rivolta alla giustizia di ognuno, sollecitata dal bene delle famiglie, pensosa dell'avvenire dei figli e partecipe infine della vita stessa del luogo che trarrà dal nostro stesso progresso alimento economico e incentivo di elevamento sociale» (Olivetti, 2012: p. 31).

Queste parole, pronunciate nel 1955, esprimono una concezione pioneristica del ruolo che l'azienda debba assumere nel delicato rapporto tra vita lavorativa e privata (work-life balance) dei lavoratori: un ruolo centrale, teso a favorire il conseguimento di un elevato benessere dei dipendenti e delle loro famiglie. Tale visione costituisce il fondamento della teoria del work-family enrichment, elaborata diversi anni dopo negli studi di Friedman, Christensen e DeGroot (1998), Rothbard (2001) e Greenhaus e Powell (2006). L'idea alla base di tale teoria è sconcertante per la sua semplicità ed efficacia. Incoraggiare i lavoratori a una maggiore partecipazione nelle attività extra-lavorative (attività familiari, sportive, volontariato, attività culturali ed associative, etc.) può generare enormi benefici in termini di: autostima, buonumore, abilità, capacità, di resistenza allo stress ed ottimismo. Il giovamento che se ne trae è tale da aumentare l'efficacia complessiva dei lavoratori e migliorare sensibilmente la qualità della loro vita. I benefici conseguibili sono numerosi anche in ambito lavorativo.

Numerosi studi empirici (e.g. McNall, Nicklin, & Masuda, 2009; Russo & Buonocore, 2012) hanno evidenziato che le persone, che conseguono elevati livelli di work-family enrichment, tendono a riportare una maggiore soddisfazione sul lavoro, un maggior coinvolgimento emotivo, più bassi livelli di turnover, una maggiore creatività e capacità di risolvere problemi complessi ed, in ultimo, più elevati livelli di performance.

In numerose occasioni pubbliche, Adriano ha esortato i suoi manager a prendersi cura dei propri collaboratori e di realizzare, con tutti i mezzi a loro disposizione, iniziative socio-culturali che potessero favorire una crescita personale oltre che professionale dei lavoratori. L'approccio di Adriano maturava dalla convinzione che esiste un rapporto di profonda reciprocità tra i lavoratori e l'azienda che bisogna alimentare e rispettare nel corso del tempo. I lavoratori con il proprio sforzo fisico ed intellettivo permettono all'azienda di prosperare e conseguire un vantaggio competitivo duraturo nel tempo. Pertanto, l'azienda è chiamata a ripagare i lavoratori per la fatica quotidianamente generata su di essi, per le competenze sfruttate, per il tempo sottratto ogni giorno alle loro famiglie e per lo stress sovente generato su di esse. Tutto ciò deve avvenire non soltanto attraverso il salario o altri benefici monetizzabili, ma anche attraverso iniziative socio-culturali che, indirizzate ai lavoratori ed ai componenti delle loro famiglie, permettessero loro di prosperare allo stesso modo di quanto avveniva per l'azienda.

Olivetti ha fornito una visione straordinaria del fine ultimo di ogni attività economico-produttiva che, a mio avviso, è fondamentale ribadire nell'attuale contesto di crisi economica ed occupazionale. L’obiettivo dell'azienda, sosteneva Olivetti, non si concretizza esclusivamente con il profitto, ma ha una concezione più ampia, spirituale, che consiste nel favorire la crescita e lo sviluppo dei lavoratori e favorire una redenzione morale e culturale in ogni ambito della loro vita.

Marcello Russo è Assistant Professor of Management, Membro del Centro di Ricerca ‘Contemporary P@thways of Career, Life and Learning’ presso la Rouen Business School in Francia.

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