A cinquant’anni dalla nascita dell’espressione “garbage in, garbage out” siamo ancora alle prese con la qualità dei dati. Gli studi evidenziano che i lavoratori della conoscenza perdono una quantità di tempo significativa nella ricerca di dati e di fonti per confermare quelli dubbi e nell’individuazione e correzione degli errori. Se i dati non sono affidabili i manager perdono rapidamente fiducia in essi e ripiegano sulla propria intuizione per prendere decisioni, guidare le loro aziende e applicare le strategie. E sono anche molto più inclini a rifiutare importanti conclusioni controintuitive che emergano dall’analisi dei big data.
Tuttavia migliorare la qualità dei dati spesso non è così difficile come si pensa, sostiene l’autore. La soluzione non sta in tecnologie superiori bensì nel miglioramento della comunicazione tra creatori e utilizzatori dei dati stessi; nel concentrarsi sul far progredire i processi corretti piuttosto che sull’eliminare i dati scorretti; e infine soprattutto nel non attribuire la responsabilità della qualità dei dati agli operatori IT, che non conoscono i processi di business da cui scaturiscono, bensì ai manager che hanno invece tutto l’interesse a ottenere il miglior risultato possibile.