La cultura che sostiene l’impresa

di Giovanni Santambrogio  |  Mercoledì, 26 Agosto 2015

UNA CRISI LUNGA, PROFONDA, strutturale accompagna l’economia italiana. Dal 2008 rassegnazione e tentazioni decliniste non sono mancate, ma sempre si sono scontrate con una cultura d’impresa che non teme le sfide. Al contrario, le cerca per affermare le eccellenze dell’imprenditorialità e la forza d’essere protagonisti con idee, soluzioni, prodotti. E’ l’anima vera dell’Italia. C’è orgoglio in questa intraprendenza: si è svilup- pata all’estero in piena recessione, si è contraddistinta dalla finanza speculativa affer- mando il primato dell’economia reale contro le derive speculative, ha conservato la fiducia nell’industria vissuta come cardine dell’intera economia. “C’è più moralità in un tornio che in un certificato d’una banca d’affari”, aveva affermato Giulio Tremonti quand’era ministro dell’Economia. 

A questa provocazione non priva di ironia si è ispirato Antonio Calabrò per la scelta del titolo dell’ultimo suo saggio, La morale del tornio, un incalzante racconto attorno alle sfide della cultura d’impresa. Da due punti di osservazione privilegiati, quali sono la Fondazione Pirelli e il Gruppo Cultura di Confindustria, di cui Calabrò è dell’uno Consi- gliere delegato e dell’altro responsabile, è possibile cogliere le dinamiche di quel “capi- talismo che incorpora il senso del limite”, secondo una felice definizione del sociologo Aldo Bonomi. Un modo di realizzare la sostenibilità grazie a una mentalità flessibile che innesta nel proprio agire imprenditoriale concetti come comunità, condivisione e col- laborazione. Parole un tempo considerate estranee al contesto della produzione e della fabbrica, ma divenute parte integrante della nuova cultura d’impresa. 

In una fitta trama di nove capitoli, il libro offre una rilettura del mercato e delle buone regole per poi ragionare sulla competitività da ritrovare, sull’industria medium tech (dove innovazione e qualità dialogano), sulle doti di un buon manager. Tutto concorre a mostrare quanto sia fondata e realistica la tesi che “impresa è cultura”: è un luogo, un tempo, uno spazio in cui umanesimo e scienza sanno dialogare e integrarsi, costru- iscono ponti in un “lavorio quotidiano, verso i dipendenti, i fornitori, i clienti. Verso il mercato dei consumatori ma anche degli investitori finanziari. Verso chi fa ricerca di base, per sostenerla e contemporaneamente per alimentare la ricerca applicata che contribuisce all’innovazione”. Impresa e industria acquistano una dimensione di rela- zionalità più ampia e più integrata, collaborano alla creazione di posti di lavoro e di ricchezza, pongono basi di socialità ed elaborano progettualità. 

Calabrò non si accontenta di ricordare il peso determinante della cultura d’impresa nella crescita. Che sia un valore e una carta vincente lo testimoniano le realtà attive sui mercati esteri e alle prese con le dinamiche della globalizzazione. Oggi servono un salto di sensibilità e un cambio di mentalità perché c’è necessità di “cultura politecnica”. Ecco l’idea e la proposta di Calabrò. “Cultura politecnica” che consiste nello stipulare una sorta di nuovo patto, un’inedita alleanza tra chi sviluppa la conoscenza fin quasi al confine delle capacità del nostro pensiero e chi nutre una testarda volontà di compren- dere i segreti della filosofia e dell’arte. 

Si tratta di un patto tra lo scienziato e l’artista, dell’incentivazione di figure come l’“ingegnere filosofo” capaci di muoversi nella fabbrica come nei board con una forte intelligenza del cuore. Allo stesso modo, la competitività trasformata dai Paesi emergenti e dalle spinte della globalizzazione esige imprenditori manager e manager dalle buone qualità. Di queste, ne servono tre in particolare: etica, ironia, empatia. Tutto porta a rimettere a fuoco la lea- dership che oltre all’attitudine al comando deve interpretare con autorevolezza la capacità di guida e di coinvolgimento servendosi in primo luogo dell’esempio. 

Calabrò parla di leadership identitaria fondata su quattro pilastri: il leader rappresenta il gruppo che ambisce guidare, ne è il paladino degli interessi, esercita la sua influenza facilitando l’identità del gruppo, realizza tale identità. Con una precisazione: la diffe- renza tra un manager e un leader è lo spessore umano. 

 

Giovanni Santambrogio
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