L'impatto della disruptive innovation sulle risorse umane

di Umberto Bertelé  |  Mercoledì, 11 Novembre 2015

Il termine disruptive innovation ha avuto così successo in questi anni da assumere una connotazione sempre più generai-generica. È riferito soprattutto all’innovazione digitale e agli effetti dirompenti e devastanti (da teoria delle catastrofi) che essa può avere nei più svariati comparti dell’economia: portando al declino o alla morte interi settori, imprese leader, professionalità, mestieri. La trasversalità - come sostengono gli autori di Big-Bang Disruption, Larry Downes e Paul F. Nunes – nasce dal fatto che today every business is a digital business, che non esiste cioè settore in cui non siano presenti componenti in formato digitale o digitalizzabile su cui costruire business model alternativi. 

Si fanno molte più fotografie di una volta ma con gli smartphone, mentre crollano le vendite di macchine fotografiche e chiudono i negozi che le vendevano.

Si leggono molte più news, ma si vendono sempre meno giornali (soprattutto in formato cartaceo) e chiudono sempre più edicole. Amazon e l’e-book hanno messo in crisi le librerie. 

Sono in continuo calo le vendite di CD, ma è entrato in crisi anche il download (e con esso l’iPod) a favore dello streaming. 

La digitalizzazione dei film e dei programmi TV sta facendo cadere i confini, nell’offerta al mercato, fra operatori televisivi, telecom e imprese Internet. 

L’eCommerce mette in crisi la distribuzione tradizionale, obbligandola a ristrutturarsi profondamente.

La sharing economy punta a rivoluzionare i servizi – quelli privati di trasporto urbano con Uber e gli alberghieri con Airbnb - destando pesanti reazioni anche politiche. 

Numerose le vittime anche illustri, a partire da Nokia e BlackBerry travolte nel passaggio dai cellulari agli smartphone.

La disruption è destinata a proseguire o ci si avvia alla saturazione? Per rispondere occorre una premessa. I fenomeni più dirompenti degli ultimi anni si sono verificati nel B2C, come conseguenza della possibilità di accedere a Internet in mobilità e della crescita impressionante del numero (ora oltre 2 miliardi) di persone sempre connesse. Ma ci sono altri cambiamenti in atto, di grande potenzialità, che non riguardano solo il B2C e che traggono origine da un insieme di cause diverse quali: l’enorme sofisticazione del software, sempre più in grado di trattare grandi masse di dati e apprendere con l’intelligenza artificiale; lo sviluppo di nuovi sensori e attuatori; l’accelerazione della crescita nella robotica e nella stampa 3-D, che integrano software, sensori e attuatori; la possibilità, con l’Internet of Things, di effettuare controlli e comandi a distanza. Ed è mia convinzione che la disruption, in questa nuova fase, sia destinata a colpire non solo settori (auto e sanità in primis) e imprese, ma anche e forse soprattutto le risorse umane.

I robot materiali e immateriali diventano sempre più smart, sostituendo gli umani in compiti ritenuti sinora non automatizzabili. Era ad esempio impensabile che le banche affidassero ad algoritmi la valutazione del merito di credito per la concessione dei prestiti minori o che i cosiddetti robo-adviser, software in grado di fornire consulenza in tema di gestione del risparmio, rubassero spazio (con l’eccezione dei grandi patrimoni) a gestori di fondi e consulenti.

C'è quindi da chiedersi come dovrebbero muoversi nel prossimo futuro le Direzioni Risorse Umane, perché il cambiamento toccherà la quasi totalità delle imprese e delle amministrazioni pubbliche, e non solo le start-up innovative. Ipersemplificando, tre sono i compiti fondamentali:  

  • essendo le persone i veri motori dell’innovazione e del cambiamento, operare in stretta interazione con i CEO per reclutare e/o far crescere all’interno chi abbia le caratteristiche e le competenze per svolgere questo ruolo, proteggendoli dalle naturali reazioni di rigetto;
  • sensibilizzare tutti, attraverso la formazione, all’inevitabilità del cambiamento come chiave di sopravvivenza;
  • gestire (il compito forse più arduo) le obsolescenze, in prospettiva sempre più numerose.

 

 

Umberto Bertelè è Ordinario di Strategia d’Impresa, Politecnico di Milano e MIP School of Management.

 

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