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M&A nei Paesi emergenti: le ragioni di tanti insuccessi

di Julio Gonzalez  |  Mercoledì, 31 Agosto 2016

Molti rapporti di società specializzate sottolineano che almeno il 50% delle fusioni e acquisizioni non raggiunge i risultati attesi.Anche se il numero pare alto, gli esperti sostengono che sia approssimato per difetto. Il grado di successo di una fusione/acquisizione dipende molto da quali siano state le motivazioni: accesso a nuove tecnologie o a nuovi mercati, riduzione dei costi, diversificazione di strategia, ecc. Nonostante le dovute differenze tra progetto e progetto, molti studi segnalano che gli aspetti legati alla gestione delle persone e alla loro integrazione sono spesso trascurati o considerati in maniera troppo limitata. La poca considerazione degli aspetti legati al fattore umano è ritenuta una concausa di insuccesso, soprattutto nei casi di integrazione tra aziende e persone di Paesi e culture aziendali e nazionali diverse, specialmente se in Paesi emergenti. 

Persone e internazionalizzazione sono, infatti, un connubio storico. Da sempre lo sviluppo del commercio e la conquista di nuovi mercati sono i risultati della curiosità e resilienza di uomini e donne che hanno osato uscire dalle proprie frontiere per cogliere nuove richieste di clienti potenziali e destreggiarsi in sistemi organizzativi, politici e normativi non sem- pre comprensibili o favorevoli. Coloro che nelle organizzazioni preparano gli studi di fattibilità per investimenti esteri devono far quadrare le informazioni che raccolgono, a volte incomplete, e cercare di dar loro un senso per guidare le azioni e i futuri piani di lavoro. Per gli aspetti legati alle risorse umane spesso si cade in una iper-semplificazione: oltre al costo del lavoro, le caratteristiche contrattuali e i vincoli connessi, le criticità rilevate per gli stili di lavoro, usi e costumi, vengono semplicemente raccolte sotto il grande cappello di “diversità culturali” , dove si liquiderà in breve ogni difficoltà senza approfondirla. 

Da questo punto di vista, le ragioni di insuccesso nei processi di integrazione potrebbero essere quindi ricondotte all’interno di due filoni principali: da una parte, la gestione delle differenze nelle culture d’impresa e del lavoro tra le due aziende e dall’altra parte la sostenibilità dell’investimento. 

Sul primo aspetto si è parlato molto negli anni, sottolineando quanto siano influenti le differenze degli interlocutori negli stili decisionali, la comunicazione, la gestione del me- rito, ecc. Temi che spesso sono permeati dalle differenze culturali nazionali , dato che le persone non lasciano la loro cultura nazionale fuori dalla porta quando entrano in azienda. Ma esiste anche un importante problema di sostenibilità dell’investimento: vale a dire quanto il progetto possa essere messo a rischio dalla disponibilità di personale nella nuova realtà acquisita o nel nuovo Paese, specialmente se si tratta di un Paese emergente. Gli esperti di risorse umane che gestiscono progetti internazionali nei Paesi in via di sviluppo spesso si lamentano di non poter trovare le competenze necessarie da assumere in azienda. Il problema consiste nel non poter disporre di un’offerta ampia di competenze e di un numero di candidati sufficiente per soddisfare le necessità aziendali. Principale preoccupazione è che le competenze siano applicabili e spendibili nei contesti organizzativi che spesso implicano una modalità di lavoro innovativa per il Paese ospite. Inoltre, una volta trovate, i costi per attrarle sono spesso più alti di quelli spesso stimati in fase di due diligence. Creare condizioni di sostenibilità è quindi un aspetto che durerà negli anni: perseguire un approccio solo economico – finanziario, oppure commerciale, senza l’apporto della funzione HR aumenta sicuramente i rischi di insuccesso. 

Julio Gonzalez, consulente di direzione. 

 

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