Smettiamola di vincolare le retribuzioni alle performance

Se ne parla dall’inizio della crisi finanziaria. Ora è arrivato il momento di farlo: dobbiamo scollegare le retribuzioni dalle prestazioni. È sempre più evidente che si tratta di un sistema inefficace, che può indurre i manager a prendersi rischi dalle conseguenze letali per l’economia. Ci sono altri metodi per motivare i dipendenti, metodi che garantiscono risultati migliori a costi inferiori.Le retribuzioni degli amministratori delegati negli ultimi decenni sono aumentate enormemente, soprattutto grazie ai premi legati alle performance, ma continua a esserci una scarsa correlazione fra queste retribuzioni e la salute effettiva di un’azienda. È un discorso che vale soprattutto per gli Stati Uniti, dove nelle aziende dello S&P 500 il rapporto fra retribuzione media dell’amministratore delegato e stipendio medio dei dipendenti è salito dal 40 a 1 degli anni 70 al 325 a 1 del 2010. In quasi tutti gli altri Paesi non si arriva a una sproporzione del genere, ma la tendenza è identica. Ai livelli gerarchici più bassi, lo sfasamento fra retribuzioni e risultati è meno accentuato, ma sta di fatto che tutti gli schemi retributivi legati al rendimento presentano due difetti ineludibili:1. In un’economia moderna, dove emergono costantemente nuove sfide, è impossibile stabilire di quali compiti ci sarà necessità in futuro con precisione sufficiente a garantire che una retribuzione legata alla performance possa funzionare.2. Le persone pagate in base al rendimento non accettano i criteri passivamente. Impiegano un mucchio di tempo e di energie per cercare di manipolare i criteri a loro favore, sfruttando il fatto che spesso conoscono i dettagli specifici del loro lavoro meglio dei loro superiori.3. I meccanismi retributivi legati alle performance spesso spingono i dipendenti a concentrarsi esclusivamente su quanto è incluso nei criteri, trascurando altri compiti importanti: è chiamato problema del multiple tasking.4. La retribuzione legata al rendimento tende a mettere in secondo piano la motivazione intrinseca, e dunque la gioia di portare a termine il proprio lavoro. È un tipo di motivazione che ha una grande importanza nel mondo delle imprese, perché sostiene l’innovazione e incoraggia le persone a dare un contributo superiore a quello ordinario.L’idea che la gente lavori solo per denaro è stata scartata dagli studiosi più autorevoli. Le ricerche dimostrano che gli esseri umani non sono interessati unicamente al guadagno materiale, ma anche al benessere di altre persone e al riconoscimento del proprio valore da parte dei colleghi. Molti dipendenti si danno da fare perché trovano il loro lavoro stimolante e gratificante. Queste motivazioni non materiali indicano che esistono modi migliori per ottenere risultati soddisfacenti dai membri di un’organizzazione.Uno di questi modi consiste nel selezionare più attentamente i dipendenti, assumendo persone che sono veramente interessate al lavoro, invece di persone il cui obiettivo principale è ottenere il compenso più alto possibile. Un altro approccio consiste nel pagare uno stipendio fisso, ma aggiustandolo sulla base di una valutazione generale del lavoro dei dipendenti effettuata dopo un certo periodo di tempo: questa soluzione consente di evitare il problema del multiple tasking. Alla fine dell’anno le aziende possono anche distribuire una parte dei loro profitti ai dipendenti in base al contributo di ciascuno alla performance generale, invece di fissare i criteri a priori. Anche i premi e i riconoscimenti sono fattori motivanti efficaci. Le ricerche suggeriscono che assegnare dei premi produce un maggior impegno sul lavoro, sia da parte di chi vince il premio sia da parte degli altri dipendenti.La retribuzione legata al rendimento a livello teorico sembra un sistema positivo, ma crea più problemi di quanti ne risolva. Non c’è nessuna prova che contribuisca al raggiungimento degli obbiettivi desiderati, mentre altri approcci, oltre a funzionare meglio, rafforzano la lealtà del dipendente nei confronti dell’azienda.Bruno S. Frey è professore emerito di Scienze comportamentali presso la Business School di Warwick, nel Regno Unito, e professore di Economia presso l’Università di Zurigo. Margit Osterloh è professoressa di Scienze manageriali presso la Business School di Warwick.
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