Editoriale: Climate business as usual

Climate business as usual Per la verità, il rapporto speciale che pubblichiamo in questo numero di Harvard Business Review Italia si intitola, nell’originale, «Climate Business-Business Climate», ma il significato profondo, effettivo di questo sforzo collettivo di quattordici autori di grande fama ed esperienza sta nel titolo di questo editoriale: il tema del cambiamento climatico va inserito nelle attività d’impresa in modo sistematico e permanente, e cioè come “business as usual”. La questione ambientale, di cui il cambiamento climatico è uno degli aspetti, seppure tra i principali, è argomento di dibattito da più di vent’anni; ma per gran parte di questi anni le imprese l’hanno più subita che affrontata con lo spirito di problem solving che di norma le caratterizza. Oggi, ci dicono Michael Porter e altri, non può più essere così. Le imprese, i business che non si danno da fare con spirito pratico orientato al mercato saranno presto perdenti. Le aziende che invece inseriranno la questione ambientale nelle proprie attività operative e nel quadro delle proprie strategie guadagneranno vantaggi competitivi crescenti o, semplicemente, sopravviveranno.Il motivo è facilmente spiegabile. Il cambiamento climatico è un dato di fatto, non un’invenzione dei soliti ambientalisti un po’ folklorici e variopinti. E poiché è già tra noi, richiede imperativamente di essere inserito tra le variabili di contesto e di operatività dell’impresa. E non per motivi etici o di responsabilità sociale, che pure ci sono, ma perché è diventato un problema di business che, se male gestito, conduce alle conseguenze di qualunque altro problema di business mal gestito: e cioè a un danno di gravità variabile da un minimo a un massimo.Dunque, l’impatto sul business è il primo punto, ma ve n’è un secondo, ed è che nei prossimi anni le regolamentazioni pubbliche legate al tema ambientale (con in primo piano le emissioni di gas serra, principalmente il carbonio) diventeranno sempre più stringenti, con o senza l’accordo di Kyoto. Ci saranno legislazioni nazionali più permissive, almeno per un po’, e altre più vincolanti. Si inquadreranno in normative multilaterali internazionali o in accordi di tipo regionale. Ma ciò che è certo è che la tendenza va verso l’irrigidimento dei vincoli e, dunque, verso l’aumento dei costi.I due punti considerati assieme portano a una sola conclusione: occorre che le imprese incorporino la variabile ambientale come costo e come opportunità nelle proprie elaborazioni strategiche, o dovranno affrontare conseguenze sempre più pesanti.E non c’è una formula adatta a tutti. I leader delle imprese sono chiamati a inserire la variabile ambientale in modo coerente con le operazioni specifiche della propria azienda, nel quadro delle proprie strategie o, per dirla con Porter, introducendo l’ambiente all’interno della catena del valore. Il tutto tenendo costantemente d’occhio l’evoluzione del quadro esterno per ridurre la vulnerabilità dell’impresa rispetto a shock esogeni improvvisi, di tipo economico o di natura ambientale stretta.Insomma, l’ambiente e il cambiamento climatico devono diventare da oggi «business as usual». Enrico Sassoon
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