Editoriale: La sinfonia dell’innovazione

Ci sarà già chi sghignazza a leggere un titolo come «sinfonia dell’innovazione». E, francamente, non ha tutti i torti, per cui vediamo di giustificare. Mi riferisco a Google e all’articolo di Iyer e Davenport, che si sono messi in testa di smontare la macchina della società di Brin e Page per carpirne il segreto più importante: quello della capacità di produrre innovazione, appunto. L’obiettivo merita attenzione, perché Google è essa stessa una di quelle innovazioni che hanno cambiato il mondo nell’ultimo decennio; ma anche l’articolo ha i suoi meriti, perché va detto che il risultato è raggiunto e viene messo a nostra disposizione. Cosa ne viene fuori?Tutti sappiamo cos’è Google e cosa fa per noi ogni giorno; ciò che non sappiamo è che la società è una fabbrica di innovazioni a getto continuo e sperimenta costantemente nuovi prodotti e servizi, 123 all’inizio di quest’anno, che sottopone all’esame di milioni di persone che diventano i suoi collaboratori più o meno coscienti. L’obiettivo è di trovare il terzo prodotto di successo dopo i primi due, che sono il motore di ricerca e la pubblicità online. E ci sono pochi dubbi che ci riesca.Google eccelle in una serie di aspetti: sperimentazione, improvvisazione, capacità decisionale analitica, sviluppo partecipativo dei prodotti, gestione innovativa delle persone, attrazione dei talenti, generazione di idee, coinvolgimento. Vanno sottolineati due aspetti: il primo è che chi lavora in Google deve obbligatoriamente dedicare una certa percentuale del proprio tempo a pensare a qualcosa di nuovo; il secondo è che la tecnologia deve andare, e nei fatti va, a braccetto con la strategia. Ecco giustificato (spero) il titolo e l’immagine della sinfonia dell’innovazione. Smontata la macchina, i due autori mettono a disposizione un menù cui attingere per cercare di eseguire la sinfonia anche in altri contesti aziendali. Facile? No, ma possibile, almeno in parte.Altri articoli di estremo interesse in questo numero: Frances Frei si chiede se le formule di successo delle imprese manifatturiere siano applicabili per analogia alle imprese di servizi e, dato che la risposta è sostanzialmente negativa, spiega quali strategie e strumenti le seconde devono applicare per avere successo; sempre in tema di strategia, Collis e Ruckstad sostengono che se non si è in grado di definirla con precisione in poche parole (la cifra magica è 35) allora sarà ben difficile che i vertici dell’azienda la possano spiegare ai dipendenti e applicarla fino in fondo.Due articoli analizzano importanti tematiche di mercato. Simon e Zatta affrontano il poco esplorato mondo del pricing ed espongono una serie di metodologie e strumenti per incrementare la redditività manovrando la leva del prezzo. Mittal, Sarkees e Murshed rompono un diffuso tabù quando affermano che qualche volta i clienti problematici e poco, o per nulla, profittevoli vanno tout court scaricati; e spiegano come si deve fare per non subirne i danni.Dedicati alla leadership gli articoli di Lorsch e Clark e di Friedman. Il primo affronta il tema, di crescente importanza anche in Italia, della capacità dei Consigli di amministrazione di svolgere un ruolo effettivo di guida a sostegno del management. Il secondo invita i leader ad allargare la sfera delle proprie attività e interessi ben oltre la vita aziendale, sostenendo che essere persone più complete consente di essere leader migliori. Infine, Upton e Staats entrano nel mondo IT per sostenere che la progettazione di un sistema informatico va concepito in termini strategici e di lungo periodo, come processo evolutivo strettamente controllato dal vertice, pena la rapida obsolescenza e lo spreco di risorse rilevanti.Arricchiscono, come sempre, questi articoli alcuni eccellenti commenti di cui sono autori Mario Consiglio, Francesco Lamanda, Severino Meregalli, Rosalba Casiraghi, Rosaria Bonifacio, Carlo Alberto Pratesi e Michelangelo Patron.Buona lettura!
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