Editoriale: Dal virtuale al reale

Tra i vecchi giochi da computer come Tetris e Super Mario, e gli attuali MMPORG, ossia giochi online multi-player, c’è la stessa distanza siderale che passa tra i pony express che portavano i messaggi nel vecchio West e le e-mail che usiamo tutti i giorni. Bell’acronimo, MMPORG, chissà chi lo ha inventato. Meglio, forse, il termine «metaverso», oggetto della riflessione di Michael Savary che abbiamo pubblicato nel numero di marzo di «Harvard Business Review Italia». L’importante, si direbbe, è non capirsi.Ma capirsi bisogna, e allora occorre fare un coraggioso salto mentale e affrontare il futuro che è già abbondantemente iniziato. L’articolo di Reeves-Malone-O’Driscoll tratta dell’utilizzo dei suddetti MMPORG come fucine di nuovi leader, perché nella loro enorme complessità, nel coinvolgere decine o centinaia di partecipanti, nel richiedere decisioni fulminee su questioni di natura sempre cangiante esigono che qualcuno assuma la leadership e la sappia gestire al meglio. Sembra che chi si è abituato a gestire queste situazioni dimostri di essere un leader migliore, anche se presumibilmente (si spera) non vale il contrario, ossia che chi non pratica il metaverso sia un leader peggiore.Questa storia dei laboratori virtuali di leadership va comunque presa sul serio perché, in fondo, le vie del cervello sono infinite. Lo dichiara nell’intervista qui pubblicata l’esperto John Medina, secondo il quale è ormai ora di trasferire i progressi delle neuroscienze nel mondo reale, e in particolare in quello del business. Illusione positivista o progresso reale delle scienze del cervello come base biologica del comportamento umano? Il futuro lo dirà, intanto il virtuale sta diventando sempre più reale.Con l’articolo di Malhotra-Ku-Murnighan si torna a un approccio più usuale al tema della leadership. La loro tesi è che spesso i manager, nella foga della competizione, si lasciano prendere da un vero e proprio furore antagonistico che ne oscura la lucidità e porta invariabilmente all’errore. Come evitarlo è l’oggetto del saggio dei tre autori.La crescita è invece al centro di due articoli. Il primo, di Vittorio Terzi della McKinsey, identifica nella crescita la condizione indispensabile per la sopravvivenza e il successo a lungo termine dell’azienda; al contrario, non crescere significa, come dimostra l’esperienza, ipotecare seriamente il proprio futuro. Il secondo, del russo Alexander Izosimov, tratta invece il tema piuttosto insolito dell’ipercrescita, ossia di quella situazione esplosiva di sviluppo che si verifica in settori, come ad esempio la telefonia mobile, in cui la penetrazione di mercato avviene in una manciata di mesi, o al massimo in pochi anni. Dalla sua esperienza, l’autore propone alcune precise regole per non farsi travolgere da troppa abbondanza.Anche l’articolo di Camillus è da inquadrare tra quelli che trattano temi insoliti (si direbbe la caratteristica di questo numero). L’oggetto è infatti ciò che va sotto il nome di «problema maligno», termine mutuato dagli urbanisti per definire un problema che, virtualmente, non ha soluzioni. Dato che un problema di questo tipo non si può lasciarlo lì, si propongono soluzioni alternative e parziali, in ipotesi comunque soddisfacenti.Infine, due articoli affrontano importanti temi di mercato: Bettencourt e Ulwick individuano una metodologia di mappatura delle attività del cliente per comprenderne meglio i bisogni ed elaborare offerte più aderenti e, dunque, di maggiore successo. Reinartz e Ulaga toccano il tema dei servizi (magistralmente affrontato nel numero scorso da Frances Frei) e spiegano come anche le aziende di produzione possano fare profitti valorizzando i servizi connessi alle loro offerte.Buona lettura!
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