Le recenti turbolenze sui mercati finanziari, ammesso che siano concluse e non riservino ulteriori sorprese nei prossimi mesi, hanno evidenziato un fatto di estrema importanza: l’imprevedibilità di eventi di rilevante impatto sui mercati e sulle realtà aziendali. La grave crisi che si è verificata, e che forse ha superato per intensità quella del 1929, ha determinato un forte sconvolgimento dei mercati finanziari e, a loro volta, mercati e istituzioni finanziarie stanno causando all’economia reale e alle imprese dei problemi che non sono stati finora del tutto valutati e compresi, ma che sicuramente avranno importanti conseguenze. Il crunch del credito sta già facendo sentire i propri effetti sia sull’attività d’impresa sia sulla domanda dei consumatori; è probabile un aumento dell’inflazione; è da temere un incremento della disoccupazione; molte aziende dovranno affrontare un 2009 problematico e gestire bilanci in sofferenza.Tutto questo evidenzia un punto importante: guidare un’impresa non richiede più soltanto una buona capacità di gestire situazioni conosciute e relativamente normali, ma sempre più impone un elevato grado di capacità di innovare in modo creativo, ideando soluzioni che non discendono in modo lineare dall’esperienza precedente, ma che richiedono invece una forte capacità di trovare formule nuove, che non si possono trovare nei libri di testo o nelle migliori business school.In altre parole, ai manager sarà sempre più richiesto di gestire l’organizzazione con mente flessibile e orientata all’innovazione, per favorire l’espressione creativa delle forze presenti in azienda. Questo è il nucleo dell’articolo di Amabile e Khaire, frutto di un incontro svoltosi alla Harvard Business School sul tema del ruolo del leader in relazione alla creatività. Ne hanno discusso esperti come Clay Christensen e Linda Hill e i leader di importanti aziende come Google, Ideo e Novartis.Questo articolo e la situazione che stiamo vivendo aprono, però, un tema più ampio, che è appunto quello del ruolo del manager, di cui si tratta nel saggio di Khurana e Nohria, arricchito da un commento di Federico Butera. Il tema proposto è se, di fronte alle vicende che sono occorse e a una crescente sfiducia dell’opinione pubblica verso i vertici di aziende e istituzioni, non occorra ormai riconsiderare i criteri di formazione e di accesso al mercato del lavoro di manager e aspiranti leader. I due autori suggeriscono che non sia più rinviabile una approfondita riflessione in proposito e ipotizzano l’esigenza di una «professionalizzazione» del management, sull’esempio di altre professioni come i medici o gli avvocati.La questione è seria ed estremamente ampia: investe, infatti, i criteri e le metodologie di formazione del management; l’opportunità di definire dei parametri di accesso alla professione (con istituzione di eventuali organismi di controllo); l’introduzione di momenti periodici di verifica della sussistenza di requisiti idonei alla responsabilità della gestione d’impresa. Senza arrivare necessariamente a pensare all’istituzione di albi o ordini, si richiama però l’opportunità di introdurre un codice deontologico della professione che il management sia tenuto a rispettare, anche in funzione degli obiettivi specifici della gestione rispetto agli azionisti e agli altri stakeholder. Riteniamo questa problematica estremamente attuale e realmente importante, al punto che ne faremo oggetto di un Rapporto Speciale su questa rivista nel mese di febbraio 2009. Per il momento proponiamo questa delicata tematica ai lettori, ai quali sollecitiamo l’invio di idee e riflessioni che il saggio di Khurana e Nohria può sollevare.Buona lettura!