UN BUON MODO PER OSSERVARE UNA CULTURA può essere quello di avventurarsi all’esterno e vederla dalla prospettiva di persone intelligenti che guardano dentro. Quando si tratta di capire qual è lo stato della competitività americana, penso spesso che le intuizioni più brillanti vengano dalle persone che incontro quando viaggio all’estero.Durante un recente viaggio in Cina, ciò che più mi ha colpito è stata la fiducia dei suoi cittadini nel loro Governo, in netto contrasto con l’attuale sentimento assai diffuso negli Stati Uniti. Quasi tutti i dirigenti cinesi che ho incontrato ritengono che i leader del loro Paese possiedano la visione e il coraggio per pensare a lungo termine. E questi dirigenti non sono tante Polyanna: vedono molto bene l’esistenza di bolle speculative in alcune parti della loro economia e capiscono che la produzione galoppante di cui hanno beneficiato è molto probabilmente destinata a rallentare. Comprendono l’esigenza di aumentare i consumi interni e l’import per compensare la forza dell’export. Ma considerano queste sfide come superabili. Soprattutto, mostrano una fede incrollabile nell’impegno prolungato del loro Governo nel mantenere l’economia cinese in buona salute. E questo consente loro di investire in tranquillità.I cinesi alla Cina ci tengono, naturalmente, ma nello stesso tempo tifano per l’America. In effetti, anche i brasiliani, gli indiani e la maggioranza di coloro che ho incontrato fuori dagli Stati Uniti sono nostri sostenitori. Capiscono che il mondo è interdipendente e che l’economia americana è troppo grande perché qualcuno possa trarre vantaggio da un rapido declino del suo benessere. Gli americani possono non rendersene conto, ma è vero: il mondo ci vuole competitivi. Tuttavia, di recente ho cominciato a percepire che i nostri amici all’estero incoraggiano l’America con sentimenti piuttosto pessimisti, un po’ come i tifosi sostengono ansiosamente la loro squadra che sta perdendo la testa della classifica e le proprie energie. Questi osservatori esterni si rendono conto che il sistema di capitalismo democratico che ha prodotto secoli di prosperità in America è in difficoltà.Chi insegna gestione d’impresa fa spesso riferimento alle best practice e utilizza i casi di studio per dare dimostrazioni tramite esempi. Per oltre un secolo gli osservatori globali hanno considerato esemplare l’economia Usa e l’America un Paese da invidiare e imitare. Sfortunatamente, non è più così. Chi osserva dall’esterno si rende sempre più conto che il nostro sistema politico è lacerato da politici che si preoccupano soprattutto della propria rielezione, e il risultato è un tragico stallo. Ben prima che Occupy Wall Street montasse le proprie tende, molti stranieri hanno trovato preoccupanti le crescenti disuguaglianze americane. Essi vedono che le grandi corporation americane esitano a effettuare investimenti in tempi d’incertezza sulle politiche pubbliche, le tasse e la normativa. Sentono troppi CEO americani parlare di scelte orientate a posporre le decisioni fino a dopo le prossime elezioni presidenziali, quando le cose saranno più chiare: e questo è un atteggiamento che disturba profondamente. La prosperità e la mobilità sociale americane hanno attratto milioni di immigranti, me compreso. Ma il predominio dell’America come ideale globale sembra stia svanendo.Nelle prossime pagine i miei colleghi della Harvard Business School e di altre istituzioni offrono una dettagliata disamina della competitività Usa. Alcuni degli argomenti che mettono in luce sono ben noti: gli sforzi delle scuole americane per sfornare lavoratori impiegabili; gli ostacoli affrontati dalle imprese che vorrebbero produrre qui; la folle incapacità del governo federale di realizzare una disciplina fiscale.Ciò che emerge in modo chiaro da questi articoli è soprattutto la qualità multidimensionale del nostro problema di competitività. Malgrado quello che la retorica politica può suggerire, non esistono soluzioni semplici. Riforme decenti in politica fiscale, normativa, corporate governance, istruzione pubblica primaria e secondaria, e politica di ricerca e sviluppo certamente aiuterebbero, ma un progresso reale verrà solo da un approccio sistemico ben congegnato, capace di determinare un cambiamento positivo. Questa conclusione è stata ben chiara al simposio di leader di aziende, sindacati, Governo, media e università che abbiamo organizzato nel novembre scorso alla Harvard Business School. Il senso di questa importante riunione è stato di sottolineare che è ormai giunto il momento che il nostro Governo cominci ad occuparsi dei problemi di lungo termine che l’America si trova a fronteggiare. È anche emerso in modo chiaro che il business può avviare azioni collettive senza stare ad aspettare il Governo. Può investire per creare dei fornitori locali più competitivi, ma anche scuole e università capaci di formare una forza lavoro più competitiva e posti di lavoro a maggiore valore aggiunto, azioni che restituirebbero ottimismo e fiducia nell’economia americana.In tempi pieni d’ansia, è naturale iniziare puntando il dito per biasimare gli altri. È quanto sta accadendo proprio adesso: il business critica il Governo perché se ne va per conto suo; il Governo biasima le imprese perché si comportano in modo irresponsabile. Gran parte dell’opinione pubblica biasima i ricchi e l’élite perché sfruttano tutti gli altri. I partiti di tutte le tendenze lavorano duro per amplificare queste accuse, ma non fanno nulla per aiutare a risolvere il problema. Creano solo divisioni tra la gente, nascondendo il fatto che siamo tutti dentro alla stessa barca.Mi rendo conto che un numero speciale di una rivista di business raramente spinge i cittadini di un Paese a stringersi per mano e a lavorare assieme per un obiettivo comune. Nutro, tuttavia, tre speranze. La prima è che chiunque legga questo numero di HBR concluda che siamo in una situazione molto seria, che viene prima della recente crisi economica e va ben oltre. Non se ne andrà quando ci sarà la ripresa economica; anzi, in assenza di uno sforzo sistemico, potrebbe anche peggiorare. La seconda è che l’approccio multidisciplinare degli esperti che abbiamo riunito – che analizzano l’intera gamma di argomenti, dall’istruzione all’imprenditorialità, fino all’innovazione finanziaria e alla sostenibilità – aumentino la consapevolezza di quanto i nostri problemi sono collegati gli uni agli altri. La terza è che le soluzioni qui proposte appaiano sufficientemente praticabili dall’ispirare chi legge. I nostri problemi sono enormi ma non insormontabili. Possiamo procedere in avanti, anche quando è difficile confezionare un compromesso politico e anche in un clima nel quale le imprese avvertono una pubblica ostilità.Come società, dobbiamo iniziare ad agire subito. La prosperità non solo dell’America ma del mondo intero dipende da questo.