Un numero crescente di organizzazioni, da Apple a Merck, a Wikipedia, si sta rivolgendo alle folle per trovare aiuto nel risolvere le questioni più spinose di innovazione e ricerca, ma i manager restano comprensibilmente cauti. Spingere i problemi all’esterno verso larghi gruppi di estranei in giro per il mondo appare rischioso e anche innaturale, particolarmente per imprese costruite su una storia di innovazione interna. Come si può proteggere la proprietà intellettuale? Come si può integrare una soluzione ottenuta in crowdsourcing nelle attività aziendali? Cosa ne è dei costi? Tutte queste preoccupazioni sono ragionevoli, scrivono gli autori, ma escludere il crowdsourcing dalla cassetta aziendale degli attrezzi significa perdere un’opportunità. Dopo un decennio di studi essi hanno identificato le situazioni in cui le folle tendono ad avere performance superiori a quelle delle organizzazioni interne (oppure no). Gli autori delineano quattro modi per attingere al problem-solving potenziato dalle folle – i concorsi, le comunità collaborative, gli integratori e i mercati del lavoro – e offrono un sistema per scegliere il migliore in ogni situazione. I concorsi, ad esempio, sono adatti a problemi molto sfidanti di natura tecnica, analitica e scientifica; a problemi di design; e a progetti creativi o estetici. Sono assimilabili al condurre una serie di esperimenti indipendenti che generano soluzioni multiple – e se queste soluzioni si raggruppano a qualche estremo l’azienda può guadagnare informazioni preziose su dove stia la “frontiera tecnica” di un problema. (La R&S interna può generare assai meno informazione).