Buoni manager o abili manipolatori?

  • di Enrico Sassoon


  • General Management


Lo Speciale di questo numero pone alcuni interessanti e importanti interrogativi con cui i manager che vogliano comportarsi in modo efficace e consapevole dovrebbero fare i conti. A cappello di questi interrogativi sta l’espressione che dà il titolo a questa sezione, “Le competenze soft che dovete possedere”. Come intuibile, le competenze hard sono quelle delle conoscenze specifiche del proprio ruolo di manager, ciò che consente di dirigere e gestire la propria funzione, o la propria azienda. E quelle soft? Qui il discorso si complica, perché passiamo a un terreno più incerto e scivoloso. Per esempio, il primo interrogativo da porsi viene presentato nell’articolo di Ibarra che si chiede: fino a che punto, nella nostra attività di manager, possiamo essere noi stessi e fare una aperta “professione del sé”? Il “paradosso dell’autenticità” ci pone di fronte all’alternativa di essere aperti come un libro di fronte ai collaboratori, con il rischio di generare insicurezza e sfiducia; oppure di gestire la nostra immagine e calibrare la nostra reputazione per proiettare un sè più coerente con le aspet- tative altrui e gli obiettivi da raggiungere.

Dice Ibarra, che potrebbe essere accusata di un troppo pragmatico cinismo, che un eccesso di sincerità può farci sentire egoisticamente a posto, ma che non sempre rappresenta la soluzione ideale. Meglio prendere in considerazione e accettare che un certo grado di “impostura” sia più funzionale allo scopo. Naturalmente, ci sono manager e manager, e c’è chi si trova spontaneamente a proprio agio nell’assumere la maschera dell’effica- cia funzionale e chi invece si trova decisamente a disagio nell’uscire dalla propria zona di comfort di un senso del sè autogratificante. Un’alternativa non semplice che pone il dilemma tra il voler essere un buon manager aperto e trasparente o l’accettare un certo grado di ambiguità manipolatoria, auspicabilmente a fin di bene.

Un secondo interrogativo riguarda la nostra capacità di dare e ricevere consigli, arte che Garvin e Margolis ritengono cruciale per una leadership indirizzata a dei buoni processi decisionali. Ma chi di noi si pone questo problema? Pochi riflettono sul tema dell’efficacia del rapporto con i collaboratori in una dinamica in cui lo scambio di suggerimenti e consigli, al confine tra il mentoring e il coaching, possa essere più o meno efficace. Anche in questo caso, come nel precedente, si confrontano tipi umani, o personalità, con competenze soft differenti. Alla base sta la decisione - che dovrebbe divenire consapevole mentre quasi sempre non lo è - di adottare l’atteggiamento o la tattica migliore per dare un consiglio che abbia le maggiori probabilità di essere raccolto, senza generare le facili resistenze connesse. Ma altrettanto delicato è il processo mentale che ci può portare a ricevere il consiglio di altri, senza innalzare le tanto comuni barriere difensive che ci portano a ritenere di sapere già tutto, con il rischio di operare e gestire con i paraocchi. Naturalmente il consiglio degli autori è di apprendere l’arte di dare e ricevere, per divenire più affidabili e godere dei benefici di una migliore reputazione. Ma il punto sta, effettivamente, nel volere consapevolmente decidere di farlo, sviluppando queste specifiche competenze soft.

Terzo interrogativo rilevante è quello posto dall’articolo di Ashford e Detert: come fare per assicurarsi l’ap- poggio del capo a una propria idea o iniziativa, senza provocare una crisi di rigetto che affondi la buona idea con danni potenziali per tutti? Senza mezzi termini, qui si tratta di saper vendere bene se stessi e le proprie idee, e non tutti sono capaci di farlo. E anche in questo caso non manca di venire alla mente che occorre una buona propensione a una gestione sia pure beneficamente manipolatoria della realtà dei rapporti umani e professionali. Non a caso gli autori parlano di “vendere i problemi” e di trovare i modi e i momenti migliori per comunicare e per raggiungere lo scopo. Si riferiscono alle competenze soft rappresentate dalle capacità retoriche, dalla sensibilità politica e dalle relazioni interpersonali per spingere all’azione i leader giusti. E indicano sette tattiche da utilizzare per creare il consenso e ottenere attenzione e risorse.

Tutto questo può suonare un po’ ambiguo e manipolatorio, ma non è in effetti ciò cui assistiamo ogni giorno nelle nostre organizzazioni? Parrebbe meglio, dunque, imparare e sviluppare queste competenze soft che subire inefficacemente le situazioni. E benvenuti nel mondo reale.

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