Dall'homo oeconomicus all'economia comportamentale

  • di Justin Fox


  • Economia e Società


 

Prendere delle decisioni significa fare degli sbagli. Naturalmente lo sappiamo tutti sulla base dell’esperienza personale. Ma in caso non ne fossimo del tutto convinti, negli ultimi anni una valanga di evidenze sperimentali ha documentato la tendenza umana a commettere errori. Questo settore di studi è forse più conosciuto per la filiazione che ha avuto nell’economia comportamentale, la quale gioca un ruolo di primo piano nel mondo del business, in quello della politica e nei mercati finanziari. 

Essa non rappresenta però la sola riflessione utile sui processi decisionali. Soltanto in ambito accademico sono presenti due altre distinte scuole di pensiero, una delle quali ha un nome formale – analisi decisionale – mentre la seconda si caratterizza per il fatto di dimostrare che noi umani non siamo così stupidi come sembriamo.

Ognuna di queste scuole di pensiero ha un contributo fondamentale da dare. I manager devono sapere quando prendere le decisioni in maniera formale, quando procedere d’istinto e quando coniugare i due approcci.

Questo articolo presenta brevemente la storia della nascita delle tre scuole e delle loro reciproche interazioni, cominciando dall’esplosione di interesse per la materia durante e dopo la seconda guerra mondiale e continuando fino al presente, dove aziende come Chevron impiegano centinaia di analisti decisionali. Scopo dell’articolo è fare dei lettori dei consumatori di consulenza decisionale più informati, il che a sua volta dovrebbe renderli decisori migliori.

 

Titolo originale: "From “Economic Man” to Behavioral Economics", HBR, May 2015.

 

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