Dove il reporting finanziario lascia ancora a desiderare

  • di H. David Sherman e S. David Young


  • Risorse Umane e Organizzazione


In un mondo perfetto investitori, membri dei board e dirigenti avrebbero piena fiducia nei bilanci delle aziende. Potrebbero affidarsi a quei numeri per fare previsioni intelligenti su grandezza, tempistica e certezza dei flussi di cassa futuri e per valutare se la stima del valore che ne emerge è correttamente riflessa dalla quotazione delle azioni. Potrebbero prendere decisioni sagge sugli investimenti o sull’acquisizione di una determinata azienda, il che garantirebbe un’efficiente allocazione del capitale.

Sfortunatamente nel mondo reale questo non accade per diversi motivi. In primo luogo i bilanci si basano necessariamente su stime e decisioni discrezionali che possono essere ampiamente fuori misura, anche in buona fede. Secondo, spesso  le metriche finanziarie standard, che dovrebbero rendere possibile il confronto tra un’azienda e un’altra, non sono in grado di farlo lasciando così spazio a misure ufficiose che hanno anch’esse i loro limiti. Infine i dirigenti sono regolarmente sottoposti a forti incentivi alla manipolazione della documentazione finanziaria. 

Negli ultimi anni abbiamo assistito all’implosione di Enron, al varo del Sarbanes-Oxley Act, alla crisi finanziaria del 2008, all’adozione della normativa Dodd-Frank e al lancio dell’iniziativa mondiale per unificare il regime contabile statunitense e quello internazionale. Nel frattempo la crescente importanza delle piattaforme web ha modificato drasticamente l’ambiente competitivo in tutti i settori. 

In questo articolo gli autori analizzano l’impatto degli sviluppi citati sopra e le nuove tecniche per combattere la manipolazione dei dati di performance.

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