Il mondo che cambia

Questo numero di «Harvard Business Review» è diverso, i lettori lo noteranno subito. Lo sguardo non è diretto esclusivamente all’interno dell’azienda, come è la norma dei saggi che pubblichiamo, tranne poche eccezioni di scenario. Questa volta le proporzioni sono invertite e l’attenzione è rivolta a come la crisi sta cambiando l’economia e la gestione delle imprese con prevalente attenzione sullo scenario. I contributi sono a loro volta un po’ differenti: gli autori sono personaggi di primaria importanza, ma non sempre quelli che vi aspettereste di trovare in una rivista di management: lo storico Niall Ferguson, l’ex-ministro americano ed economista Robert Reich, l’economista comportamentale Dan Ariely sono alcuni degli autori che si sono uniti a firme più tradizionali, ma pur sempre di altissimo prestigio, come Henry Mintzberg, Gary Pisano e gli altri.Lo scopo lo richiede. Occorre capire in che modo la crisi più grave del secolo, o forse di sempre, sta cambiando l’economia del mondo, le relazioni tra le aree, il sistema della finanza, le relazioni tra i mercati, i comportamenti dei consumatori, le strategie delle imprese, l’esecuzione delle strategie, la gestione dei rischi e altro ancora. Da questi articoli, che non si può definire meno che eccellenti, derivano molte e intelligenti analisi e indicazioni. Non definitive, certo, ma tali da permetterci di capire meglio ciò che sta accadendo e ciò che è più probabile che accada nei prossimi mesi e anni.Andando per ordine di apparizione, Ferguson propone una approfondita analisi della genesi e dei possibili sbocchi della crisi finanziaria. L’analisi delle origini è fortemente permeata della sua cultura di storico, ma ciò che più conta è lo sguardo che punta sul futuro: i rischi di degenerazione, specie in America, sono ancora forti ma, suggerisce lo storico, sono ben possibili strategie economiche che la nuova Amministrazione può adottare per evitare che il peggio si verifichi. Di estremo interesse l’articolo di Beinhocker, Davis e Mendonca che si sono assunti il difficile compito, per tutti noi fondamentale, di cercare di capire quali siano i trend più importanti che stanno cambiando la realtà economica e di mercato. Si va dagli shock sulle risorse ai nuovi orientamenti al consumo, in una analisi in dieci punti che sarà bene tenere davanti agli occhi nel prossimo futuro. Più specifico il saggio di Hewlett, Sherbin e Sumberg, sulla strana convergenza di comportamenti della Generazione Y e dei Baby Boomer: un trend che va capito perché sono queste le componenti determinanti della forza lavoro di oggi. Un gruppo di articoli prende in esame, e discute, la realtà economica che fa da sfondo alla gestione delle imprese, e sono tutti saggi molto coerenti tra di loro. Ariely sancisce la fine della razionalità nella teoria economica, sostenendo che i comportamenti di imprese e persone sono semmai improntati all’irrazionale, come a suo parere ha dimostrato la crisi. Pfeffer ricava da quanto si è verificato negli ultimi anni, e nel pieno della crisi stessa, la necessità di ripensare a fondo un mantra celebre per lungo tempo: quello della creazione del valore per gli azionisti come primo obiettivo del management e dell’azienda. Reich osserva i possibili rischi di una eccessiva ingerenza della mano pubblica nell’economia e nelle imprese. Bernstein, Campbell e Lefler analizzano le politiche aziendali nella gestione dei rischi alla luce di quanto accaduto e propongono nuove strade meno casuali in questo importante settore. Occorre prestare particolare attenzione a due articoli: quello di Flatters-Willmott e quello di Pisano-Shih. Il primo si occupa di un tema su cui tutti oggi riflettiamo, ossia se i comportamenti e le scelte dei consumatori saranno, una volta finita la crisi, diversi dal passato. La risposta è tendenzialmente positiva, e gli autori ne fanno discendere precise indicazioni strategiche sia per i Governi che per le imprese. Il secondo va a toccare una questione strategica fondamentale, chiedendosi cioè se le scelte di esternalizzazione produttiva e delocalizzazione geografica operate negli ultimi due decenni non abbiano eccessivamente indebolito la capacità dei Paesi sviluppati, a partire dall’America, di essere competitivi, di innovare, di produrre beni e servizi avanzati. Anche in questo caso la preoccupata risposta è positiva, e anche qui ne derivano stringenti conclusioni.Eccezionale, in questo numero, l’insieme dei commenti agli articoli: leggerete i penetranti contributi di Andrea Battisti, Angelo Deiana, Bruno Lamborghini, Umberto Paolucci, Lorenzo Sacconi, Giuseppe Schlitzer, Guido Tarizzo ed Enrico Valdani.Buona lettura!
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