Decidere informati

  • di Enrico Sassoon


Nessuno si sognerebbe mai di affermare che è meglio prendere decisioni in assenza di informazioni invece che decisioni consapevoli basate sull’accurata analisi e digestione di un gran numero di dati. Ma di certo si sentono talvolta manager e imprenditori vantarsi di essere capaci di decidere basandosi sul minimo indispensabile di conoscenza di dati e fatti, basandosi alla fine prevalentemente sul proprio intuito, altrimenti detto “naso”. Sarebbe vano negare che questi ultimi riescano effettivamente a imbroccare spesso la strada giusta, anche se non si saprà mai quante volte per effettiva capacità intuitiva e quante volte per fortuna o caso. Ma sarebbe altrettanto sciocco voler sostenere che una piccola massa di informazioni sia meglio di una grande massa di informazioni, quando queste siano ovviamente ben organizzate e strutturate. E sarebbe ancora più miope non vedere come oggi i sistemi informativi siano giunti a un punto tale da fornire un supporto sempre più prezioso alle decisioni, strategiche od operative. I fautori dei Big Data, di cui si parla in questo numero, arrivano qualche volta a sostenere che questo supporto sia necessario e insostituibile; in questa sede ci limitiamo però ad affermare che questo supporto è decisamente utile, talvolta prezioso, qualche volta determinante. I Big Data sono, tutto sommato, ancora una novità per molti, anche se nella sostanza stiamo parlando di grandi moli di dati sia di tipo tradizionale, come i database e le profilazioni, sia di tipo relativamente nuovo, come le informazioni che si ricavano dai social network, dai social media, dalle transazioni sui diversi generi di dispositivi mobili, dai filmati in rete e da qualsiasi altra fonte che sia in un modo o nell’altro disponibile. Raccogliere queste informazioni non è un problema, grazie alla crescente capacità di calcolo dei computer e di archiviazione nelle memorie e nel cloud. Il problema è archiviare in modo organizzato e strutturato, analizzare i dati che ormai si calcolano in esabyte, trarne indicazioni sintetiche in modo professionale e affidabile, e arrivare a gestire e prendere decisioni sulla base di questa valanga di informazioni. Gli articolo dello Speciale di questo numero raccontano proprio questa storia: come si può oggi accedere ai Big Data e come è possibile, e consigliabile, utilizzarli per gestire al meglio l’azienda, applicare le strategie e migliorare la competitività e la redditività. Gli autori hanno nomi eccellenti come Tom Davenport, il cantore degli Analytics, o come Andrew Mc Afee e Dominic Barton. E’ consigliabile leggere con attenzione i loro articoli, così come i commenti di Marco Icardi e Alberto Bubbio, poiché di riflessioni documentate si tratta e non di un inno acritico all’uso forsennato della tecnologia. Da Davenport, per inciso, si viene ad apprendere l’emergere di una nuova professione – quella dei data scientist, o scienziati dei dati – che sono le persone in grado di operare il miracolo cui si accennava prima, ossia muoversi in modo razionale e consapevole nell’oceano sterminato dei dati per ricavarne le poche indicazioni fondamentali e strategiche veramente necessarie. Strettamente connesso agli articoli dello Speciale, ma esterno ad essi, è il contributo di Michael Maouboussin, a sua volta indirizzato a porre in evidenza l’importanza di usare correttamente i dati statistici allo scopo di monitorare e controllare le performance aziendali. L’autore sostiene senza mezzi termini che quasi sempre vengono usati gli indicatori sbagliati e che, per questo motivo, troppo spesso i manager non arrivano a raggiungere gli obiettivi che si prefiggono. E suggerisce un processo in quattro fasi per scegliere le statistiche giuste, ossia quei parametri che consentono di capire e seguire le vere relazioni di causa/effetto che creano il valore per l’azienda. Da segnalare, infine, l’articolo di Loch, Sting, Hurchzermeier e Decker su un tema di cui non si sottolineerà mai abbastanza la rilevanza: come fare business e avere successo esercitando la correttezza e la lealtà. L’articolo analizza, in particolare, il caso di una banca tedesca che ha avuto successo proponendosi in modo fair alla clientela, ma le considerazioni degli autori valgono certamente, e sempre più varranno, per ogni azienda di qualunque settore. Buona lettura!

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