Formare per integrare

di Rosamaria Sarno  |  Mercoledì, 05 Marzo 2014

La Legge 68/99 stabilisce che i datori di lavoro privati e pubblici con più di 15 dipendenti debbano assumere una quota di lavoratori appartenenti alle categorie protette (disabili) iscritti in appositi elenchi gestiti dall'Agenzia del lavoro. L’integrazione di persone disabili in azienda è però spesso complessa: ogni volta che il mondo del lavoro si interfaccia con quello della disabilità e viceversa, entrano infatti in gioco aspetti particolari che, se non sono riconosciuti e affrontati con un’adeguata attività di formazione e sensibilizzazione, creano situazioni di conflitto e incomprensione tra colleghi, molte volte causa di turn-over e di gruppi di lavoro incapaci di fare squadra. Asam, l’Associazione per gli studi aziendali e manageriali dell’Università Cattolica di Milano, ha elaborato il modello di intervento AALD-Ambienti Abili per Lavoratori Disabili, che mira a sviluppare gruppi di lavoro sensibili e virtuosi nell’integrazione dei lavoratori disabili. Nato dalla sinergia tra l’attività di ricerca scientifica condotta in ambito universitario e il lavoro sul campo, svolto in aziende, servizi di collocamento mirato ed enti del settore socio-sanitario, AALD pone l’attenzione sia sul clima relazionale sia sull’efficienza produttiva. 
Ne parliamo con
Simone Scerri, psicologo sociale, formatore di Asam, responsabile e ideatore del progetto AALD.

Com’è nato il progetto AALD? Quali problematiche avevate rilevato?
Quello che ci ha spinti a sviluppare questo progetto è l’ascolto delle esigenze dei nostri interlocutori.  Asam è impegnata a portare le aziende nell’università e l’università nelle aziende. Le imprese con cui siamo in contatto ci hanno più volte raccontato che la presenza di lavoratori disabili porta a situazioni critiche dal punto di vista sia relazionale sia produttivo. Una lettura ingenua di questo fenomeno induce a pensare che sia la disabilità di per sé a causare tali problematiche; in realtà i problemi non stanno nella persona disabile, ma nella relazione che a volte si instaura tra azienda e lavoratore disabile: difficoltà che incominciano nel momento in cui la selezione viene vissuta dalle imprese come un obbligo di legge da espletare anziché come un momento da costruire con accuratezza. 

Che cosa caratterizza in particolare il progetto AALD?
AALD ha il proprio focus su mansione, gruppo di lavoro e organizzazione: non lavoriamo SUI lavoratori disabili, ma semmai CON loro e insieme alle aziende, per individuare criticità organizzative da migliorare e punti di forza da valorizzare. Spesso i problemi riguardano selezioni poco curate e pregiudizi sulla disabilità tanto diffusi quanto privi di fondamento; altre volte vi sono problemi di comunicazione nei gruppi di lavoro e difficoltà a interagire: per i cosiddetti normodotati non è facile entrare in relazione con la fragilità; spesso un eccesso di sensibilità comporta ostacoli nella relazione che in realtà si trovano dentro le persone e non fuori. Così, familiarizzare con la disabilità aiuta i colleghi a sentirla meno distante, a superare ostacoli invisibili e a togliere imbarazzi, a vivere il piacere di relazioni professionali autentiche che hanno la possibilità di continuare oltre il luogo di lavoro.  AALD punta a favorire la selezione mirata di lavoratori disabili, per facilitarne l’inserimento a selezione avvenuta e per sostenere i gruppi di lavoro in cui si presentano specifiche problematiche. I criteri utilizzati per la formulazione del progetto si basano su evidenze scientifiche e coniugano diffusione del benessere organizzativo ed esigenze di business.

Come interviene Asam per accompagnare le aziende su questo tema? 
Asam utilizza diverse modalità di intervento, che vengono di volta in volta concordate con le aziende sulla base delle esigenze esistenti. In generale, tendiamo a utilizzare un processo basato su moduli, perché questi sono più facilmente pianificabili e adattabili. Si parte da un incontro preliminare con il responsabile HR, per raccogliere informazioni utili per la selezione del candidato ideale (se è prevista un’assunzione), per impostare l’intervento e per individuare i KPI sulla base dei quali fare una valutazione di efficacia. In una seconda fase si procede con l’intervento, che può prevedere workshop dedicati a specifici ruoli aziendali e momenti di formazione allargata a più funzioni, ma anche interventi di tipo consulenziale che si concentrano su situazioni specifiche esistenti. Obiettivo della formazione è quello di sviluppare cultura, raccogliere ulteriori esigenze e progettare piani di sviluppo. Obiettivo della consulenza è quello di intervenire su aspetti critici lavorando con gli interlocutori di volta in volta interessati: singoli individui, gruppi di lavoro, capi. Il percorso si chiude con una valutazione di processo e di esito del lavoro svolto e con l’identificazione di alcuni fattori chiave che meritano di essere monitorati in futuro.

Quali vantaggi avete rilevato nelle imprese in cui siete intervenuti? 
I vantaggi sono diversi e di varia natura. Dal punto di vista della produttività, si è visto come spesso la presenza di persone più fragili richieda di rivedere alcuni processi di lavoro per renderli più semplici e sostenibili, e come questo tipo di revisione vada a vantaggio di tutti i dipendenti e di tutta l’azienda perché può ridurre tempi di lavoro e soprattutto margini d’errore. Dal punto di vista del clima, la presenza di fragilità può diventare l’occasione concreta per stimolare una cultura di “cura delle relazioni”: quando questa cultura viene fatta propria dalle persone, queste scoprono che alcune semplici attenzioni possono generare benessere per tutti – non solo per le persone disabili – e più facilmente si creano situazioni di collaborazione reciproca. In una primaria casa farmaceutica in cui stiamo lavorando su questi temi, sono stati gli stessi manager a riconoscere che parecchie situazioni di fragilità in azienda non sono date dalla disabilità, ma da situazioni di vita, magari temporanee, con cui bisogna imparare a rapportarsi. Separazioni e lutti ne rappresentano un esempio: sono momenti in cui le persone non riescono a fare “tutta la loro parte” e le aziende hanno sempre più bisogno di attrezzarsi anche in questo senso; non si tratta ovviamente di intervenire nella vita privata delle persone, ma di creare dei contesti in cui sia preservata la possibilità di lavorare con cura.
Un altro aspetto spesso sottovalutato è che, quando una persona disabile viene posta in un ambito in cui ha la capacità di operare, tendenzialmente lo fa con una motivazione e uno spirito di abnegazione superiore alla media, proprio perché il lavoro diventa una formidabile occasione per esprimere la propria identità e le proprie competenze. Un ulteriore elemento da sottolineare è il fatto che una gestione sistemica di eventuali problematiche emergenti aumenta l’efficienza aziendale e riduce notevolmente rivendicazioni e richieste di “risarcimento”. Non ultimo, questo tipo di cultura contribuisce ad aumentare la reputation aziendale. 

Rosamaria Sarno
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