Formazione per l’estero e PMI: un cambio di mentalità prima ancora di un’opportunità

di Paolo Palamiti  |  Giovedì, 20 Marzo 2014

Paolo Palamiti è coordinatore scientifico di NIBI, Nuovo Istituto di Business Internazionale di Promos e di Camera di Commercio di Milano

Il percorso che porta una piccola e media impresa a rivolgersi verso i mercati esteri è un iter di maturazione, prima ancora che di adeguamento di piattaforme e strutture. La vecchia idea di imprenditore con la valigia di cartone che si avventura verso orizzonti sconosciuti, forte di una buona sensazione, è ormai definitivamente tramontata, almeno per due ragioni. Primo perché per una scelta così importante come quella di portare un’impresa all’estero – decisione che potrebbe incidere in maniera profonda sia sulle caratteristiche sia addirittura sull’esistenza stessa dell’impresa – il vecchio “fiuto” non è più sufficiente per comprendere le dinamiche di mercati internazionali troppo complessi e strettamente interconnessi fra di loro. Secondo perché le dinamiche dei mercati internazionali cambiano con tale rapidità da rendere letteralmente impossibile considerare affidabile un dato su un mercato o su un prodotto, su un trend o su un andamento determinante per una scelta strategica, spesso anche nel giro di qualche giorno.

Un imprenditore pronto per i mercati esteri deve ormai essere disposto a mettersi in gioco non soltanto di fronte ai numeri, ma anche e soprattutto di fronte ad alcuni “miti” da sfatare. Il primo ostacolo da superare è l’idea che affrontare i mercati esteri possa essere una sfida alla portata di tutti. Non è così, anzi: spesso, soprattutto in tempi di crisi, sono proprio i primi a pensarlo a risultare poi i più inadeguati a sostenere l’impresa. Una crisi come quella attuale mette l’imprenditore di fronte a scelte drastiche, che lo spingono a tentare qualsiasi “ardimento” prima di rinunciare alla propria azienda, dovendola cedere o, ancora peggio, dovendola chiudere. Ecco perché spesso si pensa ai mercati esteri, soprattutto se si è piccoli e fino ad oggi si è riusciti a cavalcare egregiamente l’onda di un mercato in espansione.

Un’altra caratteristica ricorrente fra gli addetti ai lavori di un’impresa che sta muovendo i primi passi all’estero è quella di pensare al processo d’internazionalizzazione come a un “prestatore di ultima istanza”, ovvero all’ultima occasione utile per l’impresa per tornare su un trend positivo. La “stoffa” dell’imprenditore che sa guardare ai mercati internazionali dalla giusta prospettiva, invece, è quella di chi quei mercati li sa mettere da parte, per osservare con molta attenzione quanto sta succedendo in casa, prima che fuori. Un’impresa fragile, se affronta i mercati esteri senza aver misurato con attenzione l’adeguatezza delle proprie risorse alla missione che l’attende, va probabilmente incontro soltanto a un inutile spreco di energie che potrebbero essere meglio impiegate per capire da dove provengono i suoi principali elementi d’instabilità e come rafforzarli. Anche per questa ragione il 50% dei partecipanti ai corsi sull’internazionalizzazione di NIBI, il Nuovo Istituto di Business Internazionale di Promos e di Camera di Commercio di Milano, ha più di 40 anni, con circa il 14% sopra i 50 anni. Affrontare il processo d’internazionalizzazione di una piccola e media impresa richiede, oltre a competenze molto specifiche, anche un’esperienza pratica che abbia già fatto affrontare sul campo all’aspirante imprenditore, o export manager, o consulente internazionalista, almeno una delle problematiche di fronte alle quali prima o poi i mercati internazionali lo porranno: dall’incertezza degli scenari all’essenzialità delle scelte strategiche, dalla spietatezza dei numeri alla molteplicità delle leve da azionare per rendere più efficace la percezione delle qualità del proprio prodotto o del proprio servizio. Anche se l’80% dei partecipanti ai corsi di NIBI sull’internazionalizzazione è rappresentato da laureati – principalmente in economia, giurisprudenza, scienze politiche e ingegneria – ogni partecipante si rende presto conto che in realtà i propri studi e la propria esperienza lavorativa servono soltanto se inseriti e integrati all’interno di un quadro fatto di altre competenze e di altre esperienze tipiche di un ambiente e di uno scenario globale come quello dei mercati internazionali. Un piccolo imprenditore che vive ogni giorno le dinamiche della globalizzazione e ne trae vantaggio ha successo soltanto se pensa alla gestione della propria azienda su scala globale, con la giusta flessibilità e la giusta consapevolezza del fatto che internazionalizzare non significa soltanto esportare, ma ripensare tutte le funzioni dell’azienda a livello internazionale.

Paolo Palamiti
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