Succession Management: scegliere all'interno o acquisire all'esterno?

di Rosamaria Sarno  |  Venerdì, 10 Luglio 2015

Intervista a Maurizia Villa, managing director di Korn Ferry in Italia

Sono ancora troppo pochi i candidati “pronti subito” nei processi di succession management aziendali: è quanto emerge da uno studio svolto a livello globale da Korn Ferry, realtà leader nell’executive search e nei servizi di consulenza di leadership e talent management. Dall’indagine, condotta in aziende di 54 Paesi con un numero di dipendenti fra i 500 e i 50mila, risulta che solo il 32% dei manager intervistati ritiene che la propria organizzazione stia investendo abbastanza per coltivare talenti "pronti subito" per la successione; il 54% ritiene che la propria realtà aziendale stia mettendo alla prova i potenziali candidati affidando loro nuovi incarichi e il 53% che l’azienda sia in grado di identificare candidati "pronti subito" per ricoprire determinati ruoli di responsabilità. “Avere in pipeline le persone giuste da promuovere nel processo di succession management è fondamentale per lo sviluppo della leadership. Purtroppo non è sufficiente fornire ai potenziali leader una formazione generica e aspettarsi che riescano ad affrontare le sfide legate alla direzione strategica di un’azienda “, ha commentato Noah Rabinowitz, senior partner e global head Leadership Development di Korn Ferry. “Il processo di crescita deve essere strettamente legato agli obiettivi e alla strategia di business”.

E in Italia? Come si muovono le nostre aziende su questo fronte? Abbiamo fatto il punto ponendo alcune domande a Maurizia Villa, managing director di Korn Ferry in Italia.

Quali sono le principali problematiche riscontrate? 

Il tema della successione dei manager in azienda rappresenta per l’Italia un problema complesso e, almeno in tempi brevi, di difficile soluzione. Molte delle nostre imprese sono controllate da un azionariato familiare all’interno del quale si cerca di dare vita ai passaggi di testimone. Questo però rappresenta un errore: non sempre gli eredi hanno le caratteristiche giuste per guidare le società ereditate dai padri. Spesso non si considera la possibilità di mantenere in seno alla famiglia il controllo dell’azienda, affidando le funzioni operative a manager esterni. Né, tantomeno, viene valutata l’opportunità di legare i dirigenti alla società attraverso l’entrata nell’azionariato. Va anche ricordato che manager esterni non di rado mostrano un atteggiamento sospettoso nei confronti delle aziende a conduzione familiare: temono, infatti, di non vedersi riconosciute le necessarie deleghe operative. Gli imprenditori non tengono invece conto che la presenza di manager competenti e preparati, formati attraverso esperienze di caratura internazionale, potrebbe essere un prezioso aiuto per molte aziende italiane, soprattutto di medie dimensioni, che oggi sempre più spesso si trovano a operare all’estero. Esiste poi il nodo della scarsa valorizzazione dei talenti interni. Di frequente ricordo ai vertici delle aziende che tra le fila dei loro dipendenti sono già presenti molti potenziali Ceo e leader. Purtroppo però non si fa molto per farli crescere e per prepararli a guidare la società. 

Quali sono i timori e le carenze su cui bisogna operare?  

I Ceo hanno paura di programmare per tempo la propria successione. Si tratta di un retaggio culturale ancora piuttosto diffuso. Per superarlo occorre lavorare a stretto contatto con gli azionisti e i board aziendali così da sensibilizzarli circa i benefici che può portare il valore aggiunto rappresentato da un management di qualità. In Italia poi manca l’affiancamento del nuovo Ceo, da quando viene nominato, con un team di potenziali successori sui quali fare uno specifico programma di formazione. Un processo, questo, in cui un ruolo fondamentale dovrebbe essere esercitato dai professionisti delle human resources che dovrebbero assicurare alti livelli di competenza e preparazione, così da gettare le basi per la costruzione di efficaci percorsi di succession management. Cosa che però purtroppo non sempre si riscontra nel nostro Paese. Tutto ciò fra l’altro implica un rischio non risibile: non sono rari i casi in cui la mancanza di un valido programma di successione porta la proprietà alla decisione di cedere l’azienda.

In che modo bisogna quindi intervenire in termini formativi?

Spesso i manager partecipano per gran parte della propria carriera a programmi di crescita standard, non personalizzati in base alle loro necessità, che rendono significativamente più difficile la valorizzazione del loro potenziale. Bisogna intervenire invece con soluzioni che permettano di testare la capacità decisionale e l’approccio del candidato nell’ipotetico nuovo ruolo. Nel nostro programma di Succession Management abbiamo l’opportunità di attuare dei live simulation assessment, durante i quali proponiamo ai candidati casi concreti da risolvere in un contesto aziendale pressante. Le simulazioni mostrano il livello di preparazione di un leader e forniscono al candidato un vero e proprio assaggio di ciò che quel ruolo potrebbe comportare per le sue capacità. Inoltre, permettono di identificare il gap formativo da colmare, per delineare il processo di crescita più adatto, spesso attraverso l’attività di coaching.

Secondo la sua esperienza, quali altre iniziative possono risultare efficaci?

Sarebbe importante, nel momento della designazione del Ceo, inserire negli accordi contrattuali la richiesta di un progress action del percorso di preparazione della successione, a cui il board dovrebbe sovrintendere. Capita spesso, invece, che, nonostante l’azienda abbia messo in atto strumenti per lo sviluppo del talento, quando si presentano occasioni di promozione, cerchi all’esterno dell’organizzazione i manager per occupare quelle posizioni. L’indagine effettuata da Korn Ferry evidenzia che, nel momento in cui si verifica l’opportunità di riempire posizioni di leadership aperte, molti manager pensano che il giusto mix tra risorse “cresciute” in azienda e acquisizione di risorse dall’esterno dovrebbe essere nel rapporto di due a uno. Tuttavia la maggior parte delle aziende finisce ancora per cercare all’esterno il talento di cui ha bisogno. 

Ma qual è il mix ideale tra le risorse create in azienda e quelle acquisite dall’esterno?

Il mix ideale non dipende dalla strategia di business e dallo sviluppo di un’organizzazione. Per esempio, è normale che una startup debba contare molto di più sull’acquisizione di talenti dall’esterno. Indipendentemente dalla strategia, comunque, quando le aziende fanno eccessivo affidamento sulle professionalità provenienti dall’esterno, si evidenzia una mancanza di fiducia nel processo di successione manageriale.

Rosamaria Sarno
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