Malgrado il potere crescente delle economie in via di sviluppo, poche corporation dei mercati emergenti sono riuscite a piazzare i loro brand in Occidente. Il problema non è solo che sono in ritardo nell’entrare nel mercato globale; la percezione è che offrano prodotti di bassa qualità, non quelli di ultima generazione. L’opinione comune è che esse dovranno spendere somme gigantesche per superare questi ostacoli.
Ma alcuni giganti emergenti, come la banca indiana ICICI e il produttore della birra messicana Tecate, stanno scoprendo il modo per costruire marche globali con pochi soldi. Stanno imparando come superare le multinazionali concorrenti in astuzia, più che in denaro speso. Una strategia potente che stanno usando è quella di puntare al target degli emigranti che hanno lasciato la loro patria. Le concentrazioni regionali di questi individui possono offrire trampolini eccellenti per i mercati sviluppati.
La chiave, dicono gli autori, sta nell’individuare come target i giusti segmenti di emigranti. Gli assimilatori, che cercano di adottare rapidamente i costumi e le pratiche del loro nuovo Paese, probabilmente non compreranno i prodotti fabbricati nella loro terra di origine. Neppure lo faranno i marginali, che mancano di opportunità economiche ed educazionali e comprano per lo più prodotti funzionali, accessibili. Ma altre due categorie appaiono promettenti: gli etnici fieri, che restano attaccati alla loro identità originaria, e i biculturali, che tendono a essere affluenti e con buoni livelli di istruzione e si muovono facilmente avanti e indietro tra le culture dei Paesi di origine e di accoglienza. I biculturali risultano particolarmente attraenti: essendo integrati nelle loro comunità locali, possono influenzare altri consumatori e fare da ponte verso la popolazione generale dei loro paesi di accoglienza.