Le aziende statunitensi cominciarono veramente a rendersi conto della incombente crisi legata alle pensioni a seguito del crollo delle dot com, dopo che aziende in importanti settori erano fallite in buona parte per l’incapacità di far fronte ai loro obblighi previdenziali. Ne risultò un’accelerazione del passaggio da un sistema di piani pensionistici sponsorizzati dal datore di lavoro a uno basato su piani a contributo definito, simboleggiato dall’onnipresente 401(k), che sposta il rischio degli investimenti dall’azienda al lavoratore.
Secondo il premio Nobel Robert C. Merton, questo passaggio ha comportato un pericoloso spostamento del focus degli investimenti. Tradizionalmente i piani pensionistici erano concepiti e gestiti per fornire un reddito garantito. E poiché tale era la finalità evidente dell’intero sistema, questi erano anche i termini in cui i destinatari concepivano i loro benefit. A domanda sul valore della pensione rispondevano con l’importo del reddito fisso: per esempio, «due terzi dello stipendio in uscita».
La maggior parte degli schemi a contributo definito sono invece concepiti e gestiti come piani di investimento mirati ad accantonare la maggior quantità possibile di risparmi. La comunicazione con i risparmiatori è impostata interamente in termini di asset e rendimenti. Chiedete quanto vale il loro 401(k) e vi sentirete rispondere con l’ammontare del capitale, forse accompagnato da lamentele sul valore intaccato dalla crisi finanziaria.
Il guaio è che valore dell’investimento e volatilità degli asset semplicemente non sono il metro giusto per assicurarsi uno specifico reddito futuro. In questo articolo, Merton presenta una strategia di accantonamento orientata alla responsabilità e volta ad aumentare le probabilità di ottenere la pensione desiderata piuttosto che di massimizzare il capitale risparmiato.