Un tempo il Marketing non esisteva. Poi è stato inventato e ha avuto una rapida diffusione, sia nelle aziende (profit e non profit) che nelle business school. In Italia è entrato ufficialmente nei percorsi di laurea solo nei primi anni ’90 e oggi conta almeno cinque corsi in ogni ateneo (ne sono stati censiti quasi 500). Questo indubbio successo non è stato però accompagnato da un consenso da parte della pubblica opinione, che nei suoi confronti ha sempre manifestato una evidente diffidenza.
Tutto è nato negli anni ’50 con il bestseller I persuasori occulti, (Einaudi 1958) dove senza mezzi termini Vance Packard denunciava: «Sono all’opera su vasta scala forze che si propongono, e spesso con successi sbalorditivi, di convogliare le nostre abitudini inconsce, le nostre preferenze di consumatori, i nostri meccanismi mentali, ricorrendo a metodi presi a prestito dalla psichiatria e dalle scienze sociali».
Anche da noi i detrattori non sono mancati: nei primi anni '70, sulle pagine del Corriere della Sera (“Contro i capelli lunghi”, 7 Gennaio 1973), Pier Paolo Pasolini dichiarava: «…. il gran male dell’uomo non consiste né nella povertà, né nello sfruttamento, ma nella perdita della singolarità umana sotto l’impero del consumismo». Molto più di recente, anche Jeremy Rifkin (La fine del lavoro, Baldini & Castoldi, 1995) ha attributo alla disciplina obiettivi a dir poco cinici: «I nuovi concetti del marketing e della pubblicità [nascono] come riflesso della crescente determinazione delle imprese a vuotare i magazzini e aumentare il ritmo dei consumi per poter sfruttare la sempre crescente produttività».
C’è chi ha ironizzato su questi pregiudizi, come Jaques Séguéla che nel 1979 intitolava il suo primo libro: «Non dite a mia madre che faccio il pubblicitario... Lei mi crede pianista in un bordello», e chi l’ha buttata in politica, come Michele Serra, che su La Repubblica (24 settembre 2008) scrisse “… se questa destra continuerà a vincere, a parte il marketing non si vede quale delle discipline sociali possa sperare di riacquistare prestigio, e una diffusione non solo castale o accademica..”.
A questo punto, a chi spetta il compito di difendere la categoria, e di spiegare cos’è davvero il marketing (e la pubblicità)? Ci prova Giuseppe Morici con un godibilissimo libro, appena pubblicato da Feltrinelli, e intitolato Fare marketing rimanendo brave persone. Etica e poetica del mestiere più discusso del mondo.
Morici, ha un super curriculum come esperto della materia: oggi è presidente di Barilla Europe ed è stato global CMO nella stessa azienda, general manager in Bolton, global account manager in Monitor e brand manager in Procter & Gamble. Nel suo libro si pone interrogativi sulla sostenibilità complessiva del marketing (e forse dell'intero modello di sviluppo basato sul consumismo) e suggerisce - per uscire dall'impasse - una visione centrata sulla persona e non sul consumatore, sul radicamento e non sul posizionamento, sulla narrazione e sulla creazione di senso e di identità e non solo sulla persuasione, sul rispetto e non sulla vendita di tutto a tutti a tutti i costi.
Leggendolo sembra scritto non da un singolo autore ma da un team di esperti di diverse discipline: al marketing marketing si affiancano un neurologo (che ci fa capire come funziona il cervello a fronte degli stimoli del marketing); uno psicologo (la competenza che secondo Morici serve di più a chi fa marketing); un critico d’arte (tantissimi gli accostamenti con le più nobili arti e forme espressive dell'uomo, dal cinema, alla pittura, dalla musica, alla fotografia); e, infine, un idealista, convinto che questo mestiere può avere successo solo se interpretato come un percorso generativo, rispettoso dell’ambiente e della comunità, della persona come essere umano e dunque, in senso ampio, eco-sostenibile.
Il libro non disdegna di fornire un "how to" per contribuire a fondare una visione eco-sostenibile del marketing, in cui le persone vengano attratte dalle marche e non spinte verso gli scaffali, e in cui la più grande misura del ritorno sugli investimenti sia la creazione di significati e di identità.
A fianco di una selezionata rassegna della letteratura, Morici ci sostanzia la teoria con molti casi reali. Svelandoci cosa hanno in comune Pan di Stelle e Apple, perché Avatar ha la stessa trama di Pocahontas e cosa si deve fare per declinare il marketing come attività umana creativa e generativa che attinge con intelligenza all'immenso patrimonio delle narrazioni classiche, ai plot narrativi di base di ogni film, per emozionare le persone e offrir loro un racconto che migliori la loro vita.
Gli uomini, ci ricorda Morici, si distinguono dagli animali soprattutto per la loro capacità di raccontare storie, e quella che lui ci propone è tutta da leggere.
IL LIBRO
Giuseppe Morici, Fare marketing rimanendo brave persone. Etica e poetica del mestiere più discusso del mondo, Feltrinelli 2014, pagine 176, euro 9,00.