La rivoluzione industriale realizzatasi a cavallo tra il Settecento e i primi dell’Ottocento ha creato quella che oggi definiamo un’economia lineare, organizzata secondo un modello del “prendere, fare e smaltire”. Nell’economia lineare, le aziende operano con i paraocchi e le industrie funzionano in silos. Il modo in cui i prodotti vengono concepiti e realizzati, nonché l’approvvigionamento delle materie prime, non incidono in alcun modo sulla produzione. Nel corso del tempo, abbiamo visto l’economia lineare creare vaste conseguenze sia sul piano ambientale che sociale. Il consumo di massa, l’utilizzo di combustibili fossili, l'urbanizzazione e il trasporto globale hanno contributo a produrre effetti sconcertanti sul mondo naturale – e sul nostro.
Nel complesso, l’economia circolare è, per sua natura, un’economia di recupero. Non si tratta tanto di “fare di più con meno” ma, piuttosto, di fare di più con ciò di cui già disponiamo. In altre parole, l’economia circolare si basa sostanzialmente sull’eliminazione delle opportunità perse, risolvendo il problema dello scarso utilizzo. Sprechiamo tanto di tutto. I dati statistici forniti dalla ricerca condotta in Europa sulle abitudini di consumo mostrano come spesso le risorse che abbiamo a disposizione finiscano per andare sprecate: ad esempio, in un solo anno solare, solo il 40% della spazzatura e dei rifiuti prodotti in Europa sono stati riciclati. E non tutto, dato che i rifiuti non consistono esclusivamente in ciò che resta di quanto è stato consumato; i rifiuti vengono anche generati dal modo in cui usiamo le nostre risorse. I ricercatori hanno anche scoperto che gli autoveicoli esistenti in Europa restano parcheggiati per il 92% del tempo e che gli uffici commerciali vengono utilizzati solo al 35-40% durante le ore lavorative. Sulla scorta di tali conoscenze, aumenta la possibilità di implementare nuovi livelli di efficienza attraverso tutti i settori e gli stili di vita dei consumatori.
Sebbene l’idea di un’economia circolare possa apparire idealistica, la verità è che il nostro mondo sta cambiando. La nostra produttività economica a livello globale è oramai influenzata dal rapido esaurimento del capitale naturale esistente e di facile reperibilità. Si tratta di un’esigenza reale. Dagli anni ’70 dello scorso secolo, l’incremento della produttività delle colture di cereali ha subito una diminuzione del 66%, nonostante i progressi ottenuti nel campo delle tecniche di fertilizzazione e d’irrigazione nel corso dei decenni. Lo sfruttamento minerario sta anch’esso diventando più costoso, perché le percentuali medie dei metalli ricavati dalle estrazioni sotterranee sono in netto calo sia in termini di concentrazione che di qualità. Allo stesso tempo, secondo l’Ocse, la classe media globale raddoppierà entro il 2030. Queste cifre servono da monito sul fatto che non possiamo continuare a crescere come specie continuando a godere di un’elevata qualità della vita senza cambiare il nostro modo di fare le cose.
Dal momento che il modello di crescita circolare rappresenta una così grande novità, i responsabili politici stanno ancora lavorando su come applicarlo al meglio nelle nostre economie e società. Il governo dell’Unione Europea ha già fatto un primo passo avviando una consultazione pubblica allo scopo di raccogliere quante più informazioni su come impostare al meglio le politiche impegnate nell’applicazione di tale modello. Tuttavia, una cosa è introdurre politiche volte a promuovere l’economia circolare, altro è rimuovere gli ostacoli che impediscono il cambio di rotta.
Uno dei principali motori del modello circolare è la condivisione: schemi di car sharing come quello proposto da Uber contribuiscono a ridurre la produzione di rifiuti, dato che un minor numero di persone avrebbero bisogno di acquistare autovetture e che gli stessi veicoli già circolanti verrebbero utilizzati da più persone. Eppure, la proposta di Uber ha incontrato molta resistenza. Il fatto che i tassisti siano scesi in piazza in massa per protestare contro Uber dimostra che non basta semplicemente concentrarsi sull’opposizione alla creazione di nuove politiche di economia circolare. È necessario che alle aziende esistenti vengano offerte nuove prospettive su come prosperare nell’ambito dell’economia circolare e su quali siano le opportunità di mercato circolari di cui possono beneficiare a breve termine.
L’economia circolare può portare nuove opportunità di crescita attraverso una gestione efficiente delle risorse. Si stima che in un’economia circolare il reddito disponibile delle famiglie europee, entro il 2030, potrebbe risultare superiore di ben l’11% rispetto al percorso di sviluppo attuale. Ciò equivale a circa il 7% in più in termini di Pil. Tuttavia, malgrado tutti i benefici presentati dall’economia circolare, è tutta un’altra storia quando si tratta di decidere come vada messo a punto un sistema specifico tale da far emergere tali benefici. Ci sono alcuni punti chiave su cui vale la pena porre l’attenzione.
Il perseguimento di una sempre maggiore riduzione dei rifiuti è importante. Nonostante ciò, la produttività delle risorse potrebbe condurre al cosiddetto effetto rimbalzo: quando i prezzi relativi diminuiscono a causa di un aumento della produttività delle risorse, i consumatori tendono a un maggior consumo, il che potrebbe, a sua volta, annullarne i benefici ottenuti. Studi condotti in Europa, Nord America e Giappone hanno evidenziato come, a lungo termine, un aumento del 10% dell’utile netto si traduca, di fatto, in un aumento di oltre il 10% della richiesta di veicoli e carburante e del 5% di traffico. Pertanto, merita un’analisi approfondita da parte dei responsabili politici la messa a punto di un piano adeguato per limitare l’effetto rimbalzo massimizzando, nel contempo, la riduzione dei rifiuti.
Tenuto conto della tendenza, da parte dei consumatori, a sostituire i prodotti prematuramente, comportamento fortemente incentivato da varie pratiche di marketing, vi è quindi la necessità di esercitare un’influenza sulle imprese per evitare, o almeno per ritardare, la percezione di obsolescenza dei prodotti. Si rende altresì necessario modificare la percezione di obsolescenza dei consumatori, in maniera tale che la longevità media dei prodotti possa essere prolungata.
Se, da una parte, quanto precede potrebbe dare l’impressione di qualcosa di idealistico, le attuali politiche messe in atto dalla Commissione Europea e dal Vice Presidente Jirky Katainen sembrano, una volta tanto, muoversi davvero a favore di una rivoluzione in termini di economia circolare, che sta anzi diventando uno dei punti cardini dell’agenda politica dell’Europa e, chissà, stavolta potremmo davvero riuscirci.
Mark Esposito è Professore di Strategia economica presso la Harvard University Extension e Grenoble School of Management.
Terence Tse è Professore di Finanza presso l’ESCP Europe e direttore presso l’Istituto per l’Innovazione e la Competitività i7 di Parigi
Khaled Soufani è Professore di Finanza presso la Judge Business School della University of Cambridge e direttore dell' Executive MBA.