Con le migliori intenzioni, le aziende sperimentano modifiche della supply chain praticando sforzi isolati allo scopo di migliorarne la sostenibilità, solo per incontrare una lunga serie di effetti inattesi sotto forma di costi finanziari, sociali o ambientali. Ciò accade in parte perché la maggioranza delle aziende dà risposte parziali alle pressioni che riceve dai clienti, dagli azionisti, dai CdA, dai dipendenti, dalle istituzioni pubbliche e dalle ONG. Chiedono, ad esempio, che i fornitori cambino i materiali che usano adottandone di eco-compatibili o che avvicinino i luoghi di produzione per ridurre le emissioni dovute al trasporto. E “aggiustano” le loro stesse attività operative introducendo lampade fluorescenti compatte o aumentando il grado di riciclo dei materiali usati o cose del genere.La ricerca di Lee mostra che è molto più efficace adottare un approccio olistico alla sostenibilità ed effettuare dei profondi cambiamenti strutturali, come si vede dai casi del produttore di camicie Esquel, dell’azienda siderurgica Posco e di altri ancora. Questi cambiamenti possono contemplare la reinvenzione dei processi, lo sviluppo di nuove relazioni con i business partner e persino la collaborazione con i concorrenti allo scopo di aumentare la scala di operazioni.Gli stakeholder attribuiscono sempre più alle aziende la responsabilità delle azioni dei loro fornitori, come abbiamo appreso dal ritiro dal mercato di alimenti deteriorati per animali e di giocattoli contenenti piombo. La sostenibilità è chiaramente un problema competitivo. I manager incaricati di tenere sotto controllo la vostra supply chain devono padroneggiarla e gestirla con la stessa decisione con cui si occupano dei costi, della qualità, della velocità e dell’affidabilità.Titolo originale: “Don’t Tweak Your Supply Chain – Rethink It End to End”, HBR, October 2010.