Leadership e cambiamento

Questo numero di «Harvard Business Review Italia» è dedicato interamente alla leadership e al cambiamento. In un certo senso si potrebbe dire che leadership è cambiamento. Se il responsabile dell’azienda, o di importanti funzioni o unità di business al suo interno, interpreta il proprio ruolo in modo statico e personalistico può forse ricavare qualche vantaggio di breve periodo, ma nel lungo termine nuoce a se stesso e all’impresa. Il tema è di grande rilievo e vi sono dedicati non solo gli articoli di questo numero, ma anche l’ampia inchiesta che abbiamo realizzato ed è pubblicata sotto la denominazione di «Forum 2009: Professione Manager».La questione di fondo è il ruolo del manager e del leader d’impresa nella società moderna. Non siamo di fronte a una aperta contestazione di questo ruolo, ma di sicuro negli ultimi anni (e soprattutto da quando è scoppiata la crisi finanziaria) attorno ad esso sono cresciute molte perplessità e molti sospetti. Il tema è alquanto delicato e impone cautela. Infatti, non c’è dubbio che la stragrande maggioranza dei manager e dei leader d’impresa opera in modo consapevole e onesto, perseguendo il bene dell’azienda e della collettività. Ma questa realtà non ci esime dall’affrontare i punti dolenti della questione, perché è la società nel suo insieme che lo richiede.I grandi scandali degli ultimi anni – i casi Enron, Bank of America, Parmalat o Cirio, e i nuovi casi legati alla crisi finanziaria – sono gli elementi scatenanti dell’ondata di contestazione e sospetto, ma così come l’attentato di Sarajevo fu il fattore scatenante della prima guerra mondiale ma non la causa retrostante, così questi scandali sono stati solo l’innesco di una polvere che bruciava già da tempo e brucia tuttora. A ben vedere, il problema può essere ricondotto a una domanda essenziale: coloro che assurgono a grandi, spesso grandissime, responsabilità alla testa di grandi organizzazioni, sono qualificati – in senso professionale e nella loro consapevolezza deontologica di ruolo - per farlo? Dalla risposta a questa domanda discendono molte conseguenze possibili e diverse tra loro. Poiché è chiaro che in alcuni casi lo sono e in altri non lo sono, occorre chiedersi se il percorso di formazione e di carriera che li porta al vertice è realmente adeguato, perché le conseguenze dei loro atti possono toccare milioni, se non miliardi (come nel caso dell’attuale crisi) di persone nel mondo intero.La discussione che abbiamo avviato nel Forum prende spunto dall’articolo di Khurana e Nohria pubblicato nel novembre 2008, dal titolo È ora che il management diventi una vera professione, al termine del quale avevamo pubblicato alcune domande sui temi posti che abbiamo poi rivolto a numerosi protagonisti del mondo imprenditoriale e manageriale italiano, e le cui risposte troverete nel Forum stesso. Questa discussione non affronta direttamente il tema della leadership e del cambiamento, ma piuttosto dell’adeguatezza dei percorsi di formazione del manager e dei possibili strumenti da introdurre a supporto. Ma i due filoni, chiaramente, sono intrecciati.Come spunto di riflessione prendiamo il fatto, fortemente criticato dallo stesso neo-presidente Usa Barack Obama, che i manager americani si siano spartiti nel 2008 una torta di oltre 18 miliardi di dollari di bonus di fine anno, quando le banche, le società finanziarie e le imprese da loro dirette hanno perso centinaia di miliardi e, soprattutto, li hanno fatti perdere a risparmiatori e investitori; hanno espulso centinaia di migliaia di lavoratori; hanno compromesso il futuro di milioni di futuri pensionati, e via dicendo. Questi manager non hanno probabilmente commesso nessun atto illecito, ma si sono limitati a perseguire la massimizzazione del profitto per la propria azienda (beneficiando ampiamente se stessi) con scarso riguardo per gli interessi degli altri stakeholder e privilegiando l’utile di breve periodo rispetto alla sostenibilità dello sviluppo dell’impresa nel lungo termine. Il risultato è stato, come ben possiamo verificare, catastrofico. La domanda che ne segue è dunque quella appena posta: i manager che hanno così interpretato il proprio ruolo di leadership erano, e sono, educati e attrezzati per farlo? O non dobbiamo ritenere che vi siano forti lacune nella loro preparazione, professionale ed etica, che vanno in qualche modo urgentemente affrontate? E se è così, quali sono i percorsi e gli strumenti per farlo? A queste difficili questioni è dedicato questo numero, che rappresenta un primo momento di riflessione per un dibattito importante che non possiamo più ignorare.Enrico Sassoon
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