Anche quando i CEO fanno della diversità di genere una priorità – stabilendo obiettivi ambiziosi per la quote di donne in ruoli di leadership, insistendo su liste di candidati all’insegna della diversità per posizioni di responsabilità e sviluppando programmi di mentoring e formazione – rimangono spesso frustrati da una mancanza di risultati. Ciò accade perché non hanno considerato il fondamentale cambiamento di identità insito nell’arrivare a vedere se stesse, e nell’essere viste dagli altri, come un leader.
La ricerca mostra, scrivono gli autori, che il sottile pregiudizio di “seconda generazione”, ancora presente nelle organizzazioni e nella società, disturba il ciclo di apprendimento che sta al cuore del diventare un leader. Le donne devono acquisire credibilità in una cultura che è profondamente dibattuta circa se, quando e come esse dovrebbero arrivare a esercitare autorità. Le diffuse pratiche secondo cui la leadership coincide con dei comportamenti considerati più comuni tra gli uomini vogliono suggerire che le donne semplicemente non sono tagliate per essere leader. Gioca anche la tendenza umana a gravitare intorno a persone simili a sé, il che porta gli uomini dotati di potere a sponsorizzare altri uomini quando emergono opportunità di leadership.
Gli autori propongono tre azioni per supportare e far avanzare la diversità di genere: educare donne e uomini sull’esistenza di un pregiudizio di genere di seconda generazione; creare degli “spazi di lavoro di genere” protetti per sostenere la transizione a ruoli più importanti; e ancorare gli sforzi di sviluppo delle donne al loro senso di volontà di leadership piuttosto che al modo in cui sono percepite.