Man mano che le macchine da strumenti diventano compagne di lavoro, scrive l’autore, accettarle comporterà qualcosa di più che la semplice adozione di una nuova tecnologia.
La prima sfida sarà quella di ammettere quando il computer ne sa più di noi. La cosiddetta “algorithm avoidance”, ad esempio, spinge le persone a preferire il giudizio umano a quello delle macchine e può condurre a un peggioramento delle decisioni, che siano diagnosi sui pazienti o previsioni di risultati politici. Il messaggio per i manager è che sarà fondamentale aiutare gli umani a fidarsi delle macchine pensanti.
Uno dei modi per favorire questa fiducia è rendere i robot più umanoidi. I ricercatori della Carnegie Mellon si sono mossi in questa direzione: il robot di nome Snackbot è dotato di ruote e braccia, di una voce maschile e di una bocca a Led in grado di sorridere e di imbronciarsi. Le persone negli uffici conversano con lui e lo trattano con gentilezza. Tuttavia questo approccio può portarci a riporre eccessiva fiducia nelle capacità delle macchine.
Il nostro modo di collaborare con le macchine pensanti cambierà a seconda del lavoro da fare, di come è organizzato e di come sono progettate le macchine. Ma se messe nelle condizioni giuste le persone sono sorprendentemente aperte nei confronti del collega robot.