Negli anni 2000, durante uno dei maggiori boom delle commodity della storia, Rio Tinto si fece trascinare insieme ad altre società minerarie in una folle corsa alla crescita. Benché tradizionalmente la brillante allocazione dei capitali avesse rappresentato un punto di forza dell’azienda nei suoi 140 anni di vita, questa volta essa subì una riduzione contabile multimiliardaria di due delle acquisizioni effettuate durante il boom, tanto che nel 2012 registrò per la prima volta in 25 anni una perdita netta. All’inizio del 2013 il consiglio di amministrazione offrì a Walsh il posto di CEO.
Walsh sapeva che per avere successo in un ambiente così turbolento avrebbe dovuto riportare Rio Tinto alla sua essenziale disciplina in materia di bilancio e a una crescita misurata e sostenibile. Insieme al CFO, decise di puntare su tre azioni: vigilare sulle decisioni di investimento permettendo solo ai progetti migliori di andare avanti; gestire l’intera organizzazione nell’ottica di produrre liquidità e migliorarne l’efficienza tagliando i costi, abbandonando alcune attività e razionalizzando il personale. Decisero anche di attingere best practice da altri settori e di sfruttare appieno i guadagni in efficienza prodotti dalle nuove tecnologie.