Oggi, scrive il CEO di Priceline, si può gestire un business in inglese quasi ovunque nel mondo sviluppato, a eccezione forse del Giappone. Ma quando si costruisce o si sviluppa un business globale che si interfaccia con i clienti, bisogna parlare la loro lingua, chiunque essi siano.
Booking.com, la più grande azienda del gruppo Priceline, si sforza di raggiungere questo obiettivo impiegando persone in grado di rispondere alle telefonate in 42 lingue. Benché sia una piattaforma di prenotazioni online, circa il 20% dei suoi clienti per un motivo o per un altro finisce per telefonare. E anche se molti parlano più lingue, quando si tratta dei propri viaggi personali vogliono parlare la loro.
Quando Huston assunse l’incarico nel 2011, l’azienda era relativamente piccola. E il numero del servizio clienti difficile da trovare. Ora il customer service ha 6.000 addetti a tempo pieno, i quali parlano tutti fluentemente inglese più almeno un’altra lingua (ma per molti sono tre o quattro). Nel pianificare il personale dei call center, l’azienda deve tener conto di fattori culturali (per esempio, nei mercati emergenti come il Brasile e la Cina le persone tendono a chiamare di più) e delle sfumature (tendenzialmente agli statunitensi non piace parlare con un interlocutore dall’accento britannico e viceversa). Per i centri futuri ha dato priorità alle grandi città o per l’ampia offerta nelle lingue principali (Tokyo, Shanghai) o per la varietà di lingue disponibili (Londra, Amsterdam, Berlino, Barcellona). Booking.com è ora, scrive l’autore, «secondo quasi tutti parametri, la prima piattaforma online al mondo per la prenotazione di strutture ricettive» ed è stata classificata come «uno dei siti più internazionali del pianeta».