In quest'epoca così caotica, ma anche effervescente, il cambiamento continuo e sempre più veloce è diventato la norma.Il problema è che è difficile non solo stargli dietro, ma anche soltanto capire cosa accade nei diversi momenti e nei diversi ambiti. Al centro dei cambiamenti c’è probabil- mente la tecnologia, al cui centro c’è a sua volta la tecnologia digitale nelle sue molteplici declina- zioni, che vanno da analytics e big data a cloud e da Internet of Things a intelligenza artificiale.
Per un’azienda che non nasca come start up basata su queste tecnologie non è facile stare incollata ai cambiamenti. La disruption, che significa l’avvento di uno o più concorrenti che spuntano da un angolo sconosciuto del mercato, può essere rapida e fatale. E anche se fatale non è, può comunque comportare stravolgimenti dell’usuale modo di lavorare e costi colossali di adattamento culturale e di riadattamento strutturale.
Se ne parla ormai da tempo e con costanza in questa rivista. E questo numero contiene numerosi contributi all’uno o all’altro aspetto dei cambiamenti con i quali quotidianamente siamo chiamati a confrontarci.
Lorsch e McTague affrontano la questione del cambiamento culturale e ribaltano un modo di pensare molto diffuso. La loro tesi è che quando l’azienda va in crisi, per un motivo o un altro, è perfettamente inutile cercare di reimpostare la cultura dell’azienda per risolvere i problemi; occorre invece prima provvedere a trovare le soluzioni ai problemi operativi o strategici al centro della crisi e poi preoccu- parsi del cambiamento culturale che, in realtà, potrebbe essere già conseguente alla trasformazione del business. A supporto della loro tesi chiamano a raccolta quattro importanti Ceo ed ex-Ceo di importanti multinazionali. Non è detto che gli esperti di change management trovino questo articolo condivisibile, ma vale la pena di leggerlo con mente aperta.
Ormai siamo abituati al nuovo lessico della trasformazione: si parla abitualmente di disruption e di innovazione a ritmi esponenziali. Potrebbe bastare per un po’, e invece ecco che arriva il blitzscaling a opera di Reid Hoffman, investitore di successo della Silicon Valley tra i primi finanziatori di una Facebook ancora ai primordi. Mutuato dalla tristemente famosa blitzkrieg praticata dalle colonne corazzate naziste nella 2a guerra mondiale, il blitzscaling è “la scienza e l’arte di costruire in tempi brevi un’azienda per servire un mercato vasto e di solito globale, con l’obiettivo di essere il primo a operare su una dimensione così rilevante”. Ovviamente non è per tutti, è quanto hanno fatto quelli che oggi sono diventati gli imperatori dei nuovi mercati, come Amazon, Apple o Google. Ma, dalla loro esperienza di movimento a grande velocità con evoluzione di scala irresistibile, anche le aziende tradizionali hanno molto da imparare.
La sezione speciale di questo numero dedicata alle “piattaforme” ci fa fare un ulteriore passo avanti. I numerosi autori dello speciale si sono infatti chiesti perché e in che modo le aziende superstar di questo mondo hanno sbaragliato concorrenti formidabili in tempi relativamente ristretti; e la loro risposta è che la differenza la fanno le piattaforme tecnologiche che riuniscono produttori e consuma- tori in scambi ad alto valore aggiunto basati sulle informazioni e le interazioni che, combinate assieme, costituiscono la fonte del valore e del loro vantaggio competitivo.
Infine, sempre nell’ambito della trasformazione digitale, va segnalato l’allegato dedicato a una delle più significative tecnologie dei prossimi anni: è il rapporto di Accenture sull’Internet of Things, un’o- pera collettiva cui hanno dato il loro contributo oltre 50 consulenti, per un risultato di grande chia- rezza sulle prospettive di questa nuova realtà in divenire, ancora poco nota ai più.