Oggi le persone sono sottoposte a una forte pressione che li spinge a essere “lavoratori ideali”, totalmente dediti alla loro professione e sempre reperibili. Tuttavia dopo aver svolto centinaia di colloqui con professionisti di numerosi settori gli autori hanno concluso che spesso non è necessario impegnarsi sul lavoro dimenticandosi di sé e che ciò può risultare persino dannoso, con conseguenze disfunzionali non solo per i singoli ma anche per l’organizzazione.
Gli autori discutono tre strategie tipiche di chi deve convivere con un lavoro impegnativo e i rispettivi rischi:
Accettare significa dare priorità al lavoro su tutto il resto ed essere disponibili 24/7. Trascurando ogni interesse esterno, le persone che appartengono a questa categoria spesso sono lente a riprendersi dalle difficoltà professionali. E potrebbero essere troppo concentrate sulle proprie responsabilità per fare da mentori ad altri, il che per l’organizzazione è uno svantaggio.
Fingere significa presentarsi come un lavoratore ideale e nel contempo farsi una vita fuori dall’ufficio di nascosto. Chi adotta questo stile rischia di sentirsi isolato dai colleghi perché nasconde parti di sé e comunque perpetua il mito del lavoratore ideale, contribuendo a mantenere la pressione su tutti gli altri.
Rivelare significa perseguire apertamente impegni extralavorativi. Chi lo fa però può involontariamente mettere a repentaglio la propria carriera mentre i capi che penalizzano questo comportamento rischiano di perdere dei talenti.
Come può dunque un’organizzazione costruire una cultura più sana (e produttiva)? I manager possono dare l’esempio con una vita poliedrica; possono ricompensare i sottoposti per la qualità e i risultati del loro lavoro anziché per il tempo che vi dedicano. E possono imporre orari di lavoro ragionevoli, esigere che le ferie vengano godute e adottare altre misure protettive della vita personale dei loro dipendenti.
