Dopo che le società di Wall Street hanno ripetutamente dovuto corrispondere risarcimenti milionari a seguito di cause di discriminazione, le aziende stanno cominciando a prendere sul serio l’impegno ad aumentare la diversità al loro interno. Ma sfortunatamente i risultati non sembrano confortanti: negli ultimi vent’anni donne e minoranze non hanno guadagnato molto terreno nell’ambito del management.
Il problema è che per tentare di ridurre le discriminazioni viene adottato lo stesso tipo di programmi in uso dagli anni ’60. E gli strumenti tradizionali – formazione alla diversity, test in sede di assunzione, rating della performance, sistemi di raccolta dei reclami – tendono a peggiorare le cose anziché migliorarle. L’analisi effettuata dagli autori su trent’anni di dati relativi a 829 aziende mostra come tali strumenti portino nei fatti a una diminuzione della presenza di donne e membri di minoranze ai vertici delle aziende. Si tratta di programmi progettati per prevenire le vertenze legali disciplinando le decisioni e le azioni dei manager. Tuttavia gli studi di laboratorio mostrano che questo tipo di “bombardamento” può invece attivare i pregiudizi e incoraggiare alla ribellione.
Nella loro analisi gli autori individuano molteplici tattiche realmente efficaci nello spostare l’ago della bilancia della diversity: programmi di assunzione e di mentoring nonché task force dedicate. Si tratta di interventi che coinvolgono i manager nella soluzione del problema, aumentano i contatti con i membri dei gruppi sfavoriti e promuovono la responsabilità sociale dell’impresa. In questo articolo gli autori passano al vaglio dati, interviste a dirigenti e vari casi concreti al fine di distinguere gli interventi efficaci da quelli che non lo sono.