Da sempre gli eventi politici su scala sia locale che globale proiettano i loro e etti sull’attività delle imprese, ma anche le imprese da sempre cercano di interagire con la politica estera, di norma per capirla e per adeguarsi, qualche volta per condizionarla.La realtà geopolitica di oggi presenta scenari sempre più complessi, non di rado pericolosi, e impone alle aziende che si muovono sullo scacchiere mondiale una chiara consapevolezza dei rischi e una strategia per farvi fronte. L’articolo di John Chipman in questo numero è di una chiarezza esemplare e delinea una realtà in divenire di cui occorre sempre più tenere conto, e nello stesso tempo propone strumenti da utilizzare per farvi fronte. I rischi politici sono all’ordine del giorno. Ne siamo consapevoli e preoccupati sia come individui e famiglie, sia come organizzazioni. Nei sondaggi questo emerge chiaramente. Nel suo commento a Chipman, Mannheimer rileva che il rischio terrorismo è oggi in Italia quello più avvertito. È un forte cambiamento rispetto al passato, quando ai primi posti nei sondaggi si ponevano le preoccupazioni di carattere economico e occupazionale, quindi realtà sociali quali l’immigrazione o la criminalità organizzata e la micro-criminalità. Segno, appunto, dei tempi e risultato delle e erate azioni del terrorismo islamico.
Ma anche altrove i rischi politici sono balzati in testa. Chipman cita una ricerca della Bank of England presso i dirigenti d’azienda che per il 57% del campione pongono il rischio geopolitico in cima alle loro preoccupazioni, contro il 13% un anno prima. Sondaggi analoghi stanno emergendo, con risultati simili, un po’ ovunque nel mondo.
Quando si analizza il rischio geopolitico in realtà l’elemento principale non è il terrorismo bensì i fattori strategici di più ampia portata: cambi di regime nei Paesi in cui si opera, instabilità politica o militare, sanzioni economiche o commerciali, limitazioni all’attività d’impresa per motivi di politica locale, e altro ancora. La situazione mondiale presenta casi molto diversi fra loro e per tenerli sotto controllo esistono istituti specializzati che propongono analisi accurate di rischio-Paese (si veda, per esempio, il commento di Terzulli a Chipman, dove si cita la Mappa dei rischi elaborata da Sace).
Un’azienda multinazionale, o anche semplicemente un’azienda con attività commerciale con l’estero, ha la necessità di conoscere l’evoluzione nelle diverse aree per anticipare i relativi rischi a vario titolo. E l’elenco è lunghissimo. Solo nelle ultime settimane, terrorismo a parte, si sono manifestati il caso Brexit, che sconvolge gli equilibri europei, ma anche mondiali; e il caso della Turchia, amico-nemico dell’Occidente, Paese di grande spessore economico e sede di forti investimenti esteri, di cui occorrerà comprendere l’evoluzione futura. Ma ampliando il quadro occorre inserire l’Iran e l’Arabia Saudita, la Russia, il Brasile, la Cina, tutta l’area mediorientale più o meno direttamente a confronto con l’ISIS, e via discorrendo.
In un certo senso, anche l’America entra nel novero. Le elezioni presidenziali di novembre potrebbero portare forti cambiamenti di politica economica e sociale, ma anche di politica estera del più potente Paese del mondo. Trump e la Clinton sono molto diversi fra loro e per un’azienda è di cile valutare oggi le implicazioni della scelta elettorale. Che però ci saranno e saranno determinanti.
Dunque, la geopolitica entra sempre più nella stanza dei bottoni delle imprese e va gestita con intelligenza. E qui l’arti- colo di Chipman ha molto da insegnare. Innanzitutto, dice l’autore, la “politica estera” di un’azienda deve contemplare due elementi di fondo: una due diligence politica e una diplomazia aziendale.
La prima, non diversamente da due diligence a ni regolatori, legali o nanziari, deve portare a una de nizione dei vari tipi di rischi e alle connesse politiche di risk management. La seconda conduce invece a gestire le relazioni con le autorità nei Paesi in cui si opera, sulla base di conoscenze approfondite che considerino la realtà attuale e prospettica non solo dei singoli Paesi, ma delle regioni in cui sono collocati.
Alla ne, sostiene Chipman, l’instabilità geopolitica non è diversa da altri tipi di instabilità, e va a rontata con stru- menti adatti e consapevoli. Le aziende sono già molto spesso impegnate a far fronte a rischi anche molto gravi, per esempio nell’area del cybercrimine, della contra azione, delle tru e, dei crediti. Ora è il momento dei rischi geopolitici ed è imperativo apprendere a gestirli al meglio.