Dato che i manager detengono uno status sociale simile a quello dei medici e degli avvocati, è naturale pensare al business come a una professione, e alle business school come a delle scuole professionali. Ma, sostiene Richard Barker della Cambridge University, questo può portare ad analisi inappropriate e a percezioni infondate.Noi ci rivolgiamo a dei professionisti per una consulenza perché hanno una conoscenza che a noi manca. Abbiamo fiducia nei loro consigli perché vengono garantiti da associazioni professionali che definiscono i confini del campo specifico e ottengono consenso su quale corpo di conoscenze occorre acquisire in un percorso educativo formalizzato e certificato. Queste associazioni rendono realizzabile un mercato dei servizi professionali.Anche se le business school possono riuscire a generare consenso su ciò che vanno a insegnare, il problema corretto da porre è se ciò che insegnano qualifica gli studenti come manager, cioè li mette in grado di gestire. Dopo tutto, molti business di successo sono condotti da persone che non hanno un MBA. I ruoli dei manager sono intrinsecamente generici, variabili e indefiniti; la loro competenza chiave è la capacità di integrare diverse aree funzionali, gruppi di persone e circostanze.L’integrazione entra nelle menti degli studenti di MBA le cui esperienze e carriere variano ampiamente, più che venire insegnata nel quadro di programmi modulari. Perciò, la formazione manageriale deve essere collaborativa, le valutazioni devono perdere d’importanza e l’insegnamento deve venire personalizzato in base alla fase di carriera dello studente. Le business school non sono scuole professionali. Sono gli incubatori dei futuri leader aziendali.