Con la Cina ormai stabilmente al secondo posto tra le economie mondiali, dopo lo storico sorpasso sul Giappone, e l’India, il Brasile, la Corea, la Russia e tanti altri Paesi in movimento ultra-dinamico nel panorama internazionale, appare sempre più chiaro che nei prossimi anni i mercati e i consumatori andranno cercati in quella direzione, piuttosto che nelle stagnanti realtà dei Paesi avanzati. Nello Speciale di questo numero, dedicato un po’ enfaticamente agli “imprenditori che possono salvare il mondo”, l’obiettivo che viene posto a chiare lettere è quello di creare nuove iniziative che si rivolgano ai mercati finora largamente inesplorati del mondo emergente. Oltre quattro miliardi di persone che sono oggi “alla base della piramide”, secondo una felice espressione ormai entrata nel gergo, e che viene ripresa da Drayton e Budinich nel loro articolo. I due autori ritengono che per entrare in modo corretto e produttivo in questi mercati occorra mettere in atto delle partnership che uniscano la grande capacità di organizzazione, finanza e produzione delle imprese occidentali con il forte orientamento delle organizzazioni non profit (ormai milioni in tutto il mondo) a realizzare iniziative a basso costo e rivolte a grandi reti di clienti, da soddisfare con beni e servizi appropriati e con grande attenzione allo sviluppo sociale. Queste partnership sono sempre più in grado, infatti, di creare valore non solo per l’azienda, ma per i clienti e per tutti gli altri stakeholder, in un nuovo modello d’impresa definito da una nuova “catena ibrida del valore”. E gli esempi di successo di questo nuovo modello ormai non mancano.Questa tesi è certamente difficile da accettare da parte di chi continua ad avere occhi solo per il proprio mercato domestico e vede le operazioni in Paesi lontani come rebus indecifrabili. Ma il punto centrale è che nei prossimi anni il baricentro delle attività d’impresa si sposterà sempre di più verso i mercati emergenti e che è in quelle aree che esploderanno le nuove iniziative imprenditoriali. Da qui l’enfasi sugli imprenditori che possono dare un contributo decisivo al futuro sviluppo mondiale. Nel loro articolo, Habiby e Coyle sottolineano questa prospettiva e sostengono addirittura che ben presto le nuove ultra-dinamiche realtà imprenditoriali non emergeranno neppure più dalla Cina e dall’India, ma da altre regioni come il Medio Oriente, il Sud Africa, l’Asia. La formula vincente consisterà nell’alleanza tra grandi aziende, magari quotate, e piccole realtà imprenditoriali, che costituiranno però l’epicentro della crescita e che formeranno i nuclei di una forte capacità di innovare nei prodotti e nei servizi.Siamo, dunque, in presenza di nuove affascinanti ipotesi che fanno leva sia sulle partnership tra imprese di aree e di dimensioni diverse, sia sulla valorizzazione di quelli che oggi chiamiamo “imprenditori sociali”, di norma visti come entità di grande buona volontà ma di ridotta capacità effettuale e ancor più problematica redditività. In futuro, sostengono gli autori di questi articoli, non sarà più così e già oggi si vedono le precise testimonianze di storie di successo di nuove imprese a forte carattere sociale, ma avviate solidamente sul sentiero di uno sviluppo sostenibile.Attenzione, però, ammoniscono nel loro saggio Thompson e MacMillan: la strada può anche essere chiara, ma non per questo è semplice e senza ostacoli. Gli imprenditori costituiscono l’ossatura del futuro sviluppo mondiale poiché sono realtà agili, creative, radicate nei mercati e connesse con le risorse locali (talenti compresi), ma il tasso di fallimento delle nuove iniziative rimane molto alto. Per superare gli elevati gradi di incertezza di un’attività imprenditiva con forti caratteri di innovazione gli autori propongono un quadro di strumenti razionale e controllabile con i quali sarà più agevole tenere sotto controllo le variabili-chiave, minimizzare le possibili sorprese negative e massimizzare le probabilità di successo.Buona lettura!