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Il tempo libero programmato migliora la qualità del lavoro

Le persone che lavorano nel settore dei servizi professionali credono che lavorare 24 ore al giorno per 7 giorni la settimana sia indispensabile per farsi strada e perciò lavorano oltre 60 ore a settimana, perennemente incatenati ai loro BlackBerry. Questo non fa che perpetuare un circolo vizioso: la disponibilità genera la richiesta di maggior disponibilità. Quando le persone sono sempre presenti, la disponibilità diventa una modalità naturale del loro modo di lavorare, qualcosa che clienti e partner si aspettano e che viene persino istituzionalizzata nei parametri di valutazione della performance. Non viene messo nemmeno in discussione se il lavoro richieda o meno una disponibilità totale del proprio tempo, al contrario, le persone lavorano più sodo e più a lungo, senza fermarsi a riflettere su cosa potrebbero fare per lavorare meglio.Quattro anni di ricerche condotte dagli autori in diverse succursali nordamericane del Boston Consulting Group indicano, però, che i consulenti e altre tipologie di professionisti possono garantire i massimi standard operativi e allo stesso tempo godere di periodi di riposo ininterrotto e programmato. E questo vale anche in periodi di recessione. In questo articolo, Perlow e Porter ci spiegano cosa possiamo imparare dall'implementazione del BCG di momenti di interruzioni di lavoro programmate, da un sistema che prevede un meccanismo attentamente controllato di giornate e serate libere, che incoraggia il confronto su quello che non funziona e quello che non va, che promuove la sperimentazione rispetto a diverse modalità di lavoro e che gode del sostegno dei livelli gerarchici più alti. Titolo originale: Making Time Off Predictable – and Required, HBR, October 2009.
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