La Harvard Business Review fu lanciata nel 1922 da un preside della Harvard Business School che voleva equipaggiare i manager in fase di istruzione con strumenti migliori. La tiratura iniziale fu di sole 6.000 copie, e il prezzo iniziale di abbonamento di 5 dollari costituì un punto di attrito tra il preside e i suoi editori esterni. Per i successivi 25 anni la rivista si mantenne a malapena in pareggio. Ma tra la fondazione e la Seconda Guerra Mondiale il corpo docente acquisì la capacità di tradurre le ricerche più rigorose in letture appropriate per manager in attività e, verso la fine della guerra, HBR era ormai in grado di capitalizzare sull’imminente boom economico. La diffusione è balzata in alto da 14mila copie nel 1945 a 243mila nel 1985.
Kirby, redattrice di HBR, ricostruisce la storia dai Ruggenti anni Venti fino a oggi. «I fili intrecciati nel tessuto di HBR, scrive, non sono stati solo argomenti scelti tempestivamente per proporre delle riflessioni, ma approcci distintivi per studiarli». Tra questi argomenti troviamo il “management scientifico”, le donne nel mondo del lavoro e il potere dei consumatori, per citarne solo alcuni. E questi approcci distintivi si sono avvalsi di nomi come Peter Drucker, Michael Porter e Robert S. Kaplan.
Kirby racconta anche di alcune personalità assai colorite dietro le quinte di HBR e delle altalenanti fortune della rivista. Il suo ingresso negli anni Novanta, scrive, «avviene con alle spalle un bagaglio una forza del tutto speciali, e con nozioni molto chiare su ciò che il management dovrebbe essere».