Il nucleo centrale di questo numero di Harvard Business Review copre diversi temi che girano attorno alla questione fondamentale che interessa a tutti noi: come prepararsi per i profondi cambiamenti che le trasformazioni in atto determinano nel mondo del lavoro. Ogni articolo della sezione affronta un tema diverso, componendo un mosaico di elevato interesse. Beer, Finnström e Schrader toccano il tema della formazione manageriale e rilevano come, a fronte di massicci investimenti, la soddisfazione delle aziende, ma anche degli stessi dirigenti, sia di norma piuttosto scarsa. La formazione, anche se al momento dell'erogazione appare molto convincente, non sembra incidere in modo significativo sugli obiettivi di cambiamento dell'organizzazione.
Il problema sta a loro parere nel contesto aziendale: è difficile, se non impossibile, applicare nuove idee in un quadro organizzativo immutato. La soluzione consiste, allora, nel cambiare mentalità e creare a priori le nuove condizioni con un'opportuna progettazione organizzativa e dei processi manageriali, e solo dopo far seguire l'utilizzo della strumentazione per lo sviluppo individuale come il coaching, la formazione in aula o via Internet. La formazione mirata alla crescita individuale, sostengono gli autori, è comunque utile e opportuna, ma per raggiungere i risultati dell'organizzazione occorre guardare con attenzione al contesto e creare le condizioni di successo per il cambiamento.
Un altro aspetto di estremo rilievo è quello toccato da Cappelli e Tavis e riguarda la annosa e risalente questione della valutazione delle performance. Una dozzina di anni fa, ricordano gli autori, nessuno si sognava di mettere in discussione il processo annuale di valutazione, al quale dovevano poi seguire gli opportuni premi e punizioni. Ma da allora a oggi la saggezza delle valutazioni ex-post è stata messa in discussione da molte organizzazioni e attualmente non sono poche quelle che utilizzano un approccio diverso, essenzialmente basato su un minore utilizzo dello specchietto retrovisore e su un maggiore sforzo di guardare avanti.
L'enfasi si sposta dunque dalla responsabilizzazione, basata sui giudizi di ciò che è stato, all'apprendimento, finalizzato a ciò che si vuole raggiungere. Dunque, non valutazione annuale con sentenza definitiva bensì dialogo continuo con gli interessati, intessuto di volontà di collaborare e di premiare in funzione di una crescita successiva, della persona e dell'organizzazione.
In un contesto di rapido cambiamento come quello nel quale tutti operiamo, questo approccio appare più rispondente alle esigenze, anche se di più difficile applicazione (non a caso la maggior parte delle aziende continua a utilizzare gli strumenti tradizionali di valutazione delle performance).
Il contributo di Donovan e Benko riporta un caso di trasformazione di enorme impatto. Si riferisce infatti alla decisione del colosso Usa delle telecomunicazioni AT&T di affrontare l'esigenza, veramente epocale, di cambiare pelle (ossia business model e tecnologie) portando i dipendenti a sviluppare nuove competenze legate ai nuovi compiti dell'azienda, utilizzando una serie formidabile di strumenti per riaddestrare le persone. Il dettaglio non irrilevante di questa operazione è che riguarda tutti i 280mila dipendenti e non solo una parte. Un progetto che, come dice il titolo dell'articolo, punta alla "riorganizzazione del talento".
La sfida riguarda chiaramente in primo luogo la grande corporation americana ma il progetto è talmente ampio e significativo, e il risultato talmente incerto, che gli occhi del Paese sono fissati su questo esperimento, poiché dal risultato potranno discendere conseguenze estremamente significative per l'intero mercato del lavoro negli anni a venire, negli Stati Uniti ma anche altrove.
Infine, a chiusura della sezione speciale di questo numero, l'intervista a Jeffrey Joerres, che è stato per 15 anni il CEO globale di Manpower Group e che in questa veste ha visto e gestito le profonde trasformazioni di un mercato mondiale del lavoro impattato in misura crescente dai fenomeni di globalizzazione e di innovazione tecnologica con i quali occorre tuttora fare i conti.