Le organizzazioni si aspettano di vedere coerenza nelle decisioni dei loro dipendenti, ma gli esseri umani sono inaffidabili. I loro giudizi possono cambiare notevolmente da un individuo all’altro, anche se essi svolgono lo stesso ruolo e si suppone seguano le stesse linee guida. E fattori apparentemente irrilevanti come il tempo atmosferico e l’umore possono modificare le decisioni di una persona in momenti diversi. Questa variabilità fortuita delle decisioni è chiamata rumore e ha costi sorprendenti per le aziende, che in genere però ne sono completamente inconsapevoli.
Il premio Nobel Daniel Kahneman, professore di psicologia a Princeton, illustra insieme a Andrew M. Rosenfield, Linnea Gandhi e Tom Blaser di TGG Group come le organizzazioni possono effettuare un audit del rumore chiedendo ai membri di una unit di professionisti di valutare la stessa serie di casi. Il grado di discrepanza tra le loro valutazioni fornisce la misura del rumore. Se il problema è grave, si può ricorrere a una serie di rimedi. Il più radicale consiste nel sostituire il giudizio umano con degli algoritmi. Diversamente dalle persone, a parità di input questi danno sempre il medesimo output e la ricerca evidenzia come le loro previsioni e decisioni siano spesso più precise di quelle degli esperti.
Benché la costruzione degli algoritmi possa risultare scoraggiante, gli autori descrivono il processo basandosi su dati in ingresso riguardanti un ristretto numero di casi e alcune semplici regole di buon senso. Ma se questo sistema basato sull’applicazione di formule è politicamente o operativamente impraticabile, le aziende possono ugualmente stabilire prassi e procedure che guidino i dipendenti a prendere decisioni più coerenti.