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Formare manager che sappiano gestire il Personal Brand

di Francesco Venier  |  Giovedì, 19 Febbraio 2015

Francesco Venier – twitter: @checovenier – è docente di Organizzazione aziendale all’Università di Trieste e Direttore Executive Education presso MIB School of Management dove è responsabile degli Executive MBA e dei programmi di formazione custom per le imprese

Negli ultimi 15 anni le modalità di lavoro del manager sono cambiate così tanto da essere quasi irriconoscibili, ma stando alle osservazioni di Brynjolfsson e Mcafee del MIT di Boston, nei prossimi 10 cambieranno ancor più radicalmente.  La velocità con cui evolve la tecnologia sta rendendo ogni nostra azione oggettivamente misurabile, ogni nostra controparte immediatamente raggiungibile, ogni nostro fornitore sempre più facilmente sostituibile e ogni nostra attività sempre più automatizzabile. Nel nuovo contesto il ruolo del manager non sarà mai più quello dell’organization man, mero gestore e ottimizzatore di sistemi, ma piuttosto quello del problem solver, del creatore di opportunità, dell’innovatore capace di galvanizzare il suo team, un ruolo, insomma, molto più attivo e imprenditoriale che nel passato. 

Per questo motivo diventa strategico, e forse necessario, imparare a pensare a se stessi come delle start-up composte di una sola persona, con modello di business, asset personali, reti di relazioni, mercati target e un proprio brand (l’insieme delle aspettative e percezioni degli altri nei nostri confronti) da gestire, far crescere e tenere costantemente allineati. Questa nuova prospettiva sulla gestione del proprio futuro professionale è chiamata Personal Branding.

Social media strategy e personal branding

A ben vedere, tale attività è sempre stata importante per i manager; quello che oggi è cambiato sono le modalità con cui si svolge, perché la tecnologia ci mette a disposizione gratuitamente strumenti di gestione delle relazioni professionali, le social technology e in particolare i social media. Ma, nonostante le persone abbiano ormai massicciamente abbracciato le social technology, molti manager e leader temono il rischio di un’informazione non regolamentata e vedono con sospetto l’idea di mescolare le dinamiche aperte tipiche dei social media con i processi di comunicazione cui sono abituati. 

In un mondo sempre più mediato da Internet, non comprendere il potenziale e le modalità corrette di gestione di tali strumenti e, quindi, non utilizzarli o utilizzarli male, può però essere estremamente costoso.  Può impedire l’accesso a opportunità (si pensi ad esempio al crescente numero di aziende che richiedono un Kloutscore minimo per candidarsi a ricoprire posizioni nel marketing), se non addirittura danneggiare gravemente il proprio futuro professionale.

La formazione

Ecco perché numerosi programmi MBA in tutto il mondo stanno offrendo ai loro studenti un corso di personal branding. Oggi un percorso di questo tipo, per poter risultare efficace, deve essere un laboratorio capace di portare i partecipanti a costruire o perfezionare gli strumenti di social media incoraggiandoli a pianificare, sperimentare, prendere dei rischi, imparare dagli errori e affinare il loro esclusivo personal brand. Ma quali competenze vanno trasferite e in che modo? Bisogna partire chiarendo il concetto di brand e trasferendo il concetto permission marketing, il modo fisiologico e non intrusivo per creare conversazione online. Successivamente è necessario aiutare i partecipanti a sviluppare il proprio business model personale puntando a valorizzare le proprie aree di eccellenza. Ciò richiede la focalizzazione dei propri obiettivi, la valutazione dei propri spazi relazionali ed economici e infine la stima del proprio “mercato”. Si passerà quindi a definire un piano d’azione e le competenze per realizzarlo. General Electric, che considera la capacità del suo management di gestire il proprio brand personale grazie alla “social media literacy” una fonte fondamentale di vantaggio competitivo, ha esplicitato il concetto in  sei competenze:

1) produrre contenuti attraenti e autentici; 

2) governare le nuove dinamiche della distribuzione di tali contenuti; 

3) gestire l’information overload; 

4) supportare gli altri nell’uso delle social technologies; 

5) disegnare corrette strategie d’uso dei social media; 

6) monitorare le dinamiche del settore e comprenderne l’impatto culturale e comportamentale.

Solo alla fine, per ultime, vanno affrontate le specifiche tecnologie. In particolare, le piattaforme di social media più utilizzate vanno lette alla luce delle chiavi interpretative costruite fino a questo punto: Linkedin, Twitter, Facebook, Google+ e una piattaforma di blogging.  

Naturalmente saranno gli studenti a scegliere i social più adatti ai propri obiettivi; quindi vanno lasciati liberi di usare altri strumenti come ad esempio youtube, vimeo, flickr, pinterest, scoop.it o qualsiasi altra soluzione possa aggiungere valore al brand. Il risultato finale è la costruzione delle fondamenta del personal brand del partecipante che potrà essere curato per tutta la sua vita professionale, divertendosi, provando strade nuove, abbandonando rapidamente quelle che non funzionano e sviluppando quelle efficaci con l’approccio iterativo  di miglioramento continuo, che Mark Zuckerberg chiama “the hacker way”.

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