Attenzione alle illusioni!
Marco Rimedio, business coach e autore del libro Come sviluppare il tuo business con Facebook (Mind Edizioni), mette in guardia da false illusioni e aspettative che rischiano di rimanere deluse: “L’universo dei social media riscuote un interesse crescente da parte delle aziende per le attività di comunicazione e marketing: secondo i dati forniti dall’Osservatorio Social Media dell’Università Iulm di Milano, si è passati da un 32,5% nel 2010 a un 63,8% nel 2013. In questo periodo di crisi la presenza su un social network è stata vista come una soluzione per aggredire il mercato con nuovi strumenti: un approccio corretto a patto di non attribuirgli virtù salvifiche o miracolistiche. Spesso, infatti, si è ripetuto lo stesso fenomeno che già si era presentato nei primi anni ’90 con il world wide web, quando avere un sito era visto come la garanzia di un sicuro successo e di un’espansione continua (‘un sito è una vetrina sul mondo intero’ era il mantra che si sentiva ripetere); considerazione giustissima! A patto di considerarla un’indicazione di metodo e non una soluzione di per sé. Infatti, come sanno tutti i commercianti, una vetrina che affaccia su una via dove non passa nessuno è totalmente inutile e una allestita male è addirittura dannosa. Lo stesso principio deve valere per l’approccio con il mondo ‘social’: è importante la presenza della nostra azienda perché ci garantisce la possibilità di utilizzare nuovi strumenti (spesso potentissimi) e cogliere nuove opportunità. Tale presenza però va pianificata e progettata con competenza”.
Diversificare i contenuti a seconda dei canali
“All’aumentato interesse per i social media non è sempre seguita un’accresciuta capacità di utilizzare al meglio le loro potenzialità”, osserva Rimedio. “Per misurare questa nuova capacità è stato costruito un indicatore, l’indice di SocialMediAbility, che si propone di misurare sinteticamente tre valori: l’orientamento 2.0; la gestione e la cura dei diversi canali social; l’efficacia delle azioni adottate. Tale indice, seppur in crescita, resta basso testimoniando una persistente difficoltà delle nostre imprese a posizionarsi correttamente e a elaborare strategie efficaci. Questo, a mio avviso, avviene perché non sempre è divenuta convinzione comune che non basta la presenza su un social network, e non sarà quindi una pagina Facebook o un account Twitter a cambiare le sorti della nostra azienda. Non è delegando a un tecnico ‘smanettone’ che si costruisce la nostra presenza nel mondo social; sono piuttosto necessari un nuovo approccio e l’acquisizione da parte del management (o degli stessi titolari) di nuove competenze che permettano la corretta elaborazione di una strategia, un’efficace implementazione di quanto elaborato, la misurazione dei risultati ottenuti con gli appropriati indicatori, l’eventuale correzione e rettifica della strategia in base ai risultati raggiunti. Ciò può essere fatto attraverso un periodo di formazione che, oltre ad analizzare la vasta letteratura che è stata prodotta sull’argomento, prenda spunto dai casi di successo e dalle best practice di questi anni”. Tra i punti salienti su cui dovrebbe fondarsi questo percorso di formazione, Rimedio sottolinea in particolare la qualità e la tipologia dei contenuti: “Bisogna trattare temi che suscitino l’attenzione e che risultino utili per il target cui ci si rivolge, senza che siano immediatamente riconducibili alla vendita dei propri prodotti o servizi: ciò farà aumentare la reputazione dell’azienda e manterrà viva la relazione con il proprio pubblico. Naturalmente il contenuto va elaborato e pensato in funzione non solo del proprio target ma anche del social media utilizzato. L’errore più comune consiste nell’utilizzare gli stessi contenuti per tutti i network. La strategia di comunicazione deve invece essere differenziata in base a ciascun canale, che a sua volta possiede un proprio pubblico e proprie peculiarità”.
Tutti partecipano alla costruzione delle marche e delle loro identità
“La comunicazione d’impresa attraverso i social media deve essere pensata, pianificata e strutturata come ‘attiva’ e coinvolgente, rivolta a quello che viene detto l’engagement del consumatore, il suo ingaggio o coinvolgimento. Tutte le modalità sono consentite. Dalle più tradizionali a quelle ‘non convenzionali’, afferma Simonetta Pattuglia, professore aggregato di Marketing Comunicazione Media all’Università di Roma Tor Vergata, nonché direttore del master in Economia e gestione della comunicazione e dei media e del master in Marketing e sport management; autrice di libri sul settore pubblicati da Franco Angeli: Media Management. Convergenza e sviluppo competitivo delle imprese mediatiche; Social Media Marketing (con S. Cherubini); Mobile Marketing & Communication (con S. Cherubini).
“I social necessitano di meccanismi – tesi di volta in volta all’informazione, alla comunicazione o all’entertainment – di approccio ludico, ricreativo, di coinvolgimento partecipante e che alluda, più o meno concretamente, al gioco esperienziale”, spiega la docente. “Il vantaggio principale è che il consumatore, in tal modo, entra nella comunità del brand, non più meramente o solamente ne diviene cliente, e tale comunità vede per la prima volta assieme – attorno a concetti e valori condivisi – i consumatori, i clienti, il prodotto e il servizio stesso, e il marketer-comunicatore, non più in posizione asimmetrica e anche non comunicante direttamente. Tutti partecipano alla costruzione delle marche e delle loro identità”.
In merito alle conoscenze necessarie per essere efficaci sui social media, Pattuglia sostiene che “il ‘marketing innovativo’ deve divenire pane quotidiano delle nuove professionalità: branding, co-marketing, eventing, CRM evoluti sono i capisaldi di questa nuova storia del marketing e della comunicazione d’impresa. La conoscenza approfondita dei singoli strumenti e delle loro peculiarità – tecnologiche e di comunicazione – fa il resto: fare marketing e comunicazione su Twitter non è affatto la stessa cosa che su Facebook o attraverso Instagram! Questo non è ancora chiaro ai più: il marketing deve essere sempre un’attività integrata di tipo analitico, strategico e quindi operativo. Gli strumenti che debbono essere utilizzati non sono capaci di raggiungere obiettivi strategici in maniera indifferenziata. La formazione attuale passa attraverso questo approccio: grande rigore metodologico e grande duttilità e versatilità progettuale”.
I nuovi mezzi non sostituiscono i precedenti ma li integrano
Come e quanto la formazione opera per far capire anche la necessaria integrazione tra on e offline? “Dipende dalla qualità della formazione”, osserva la professoressa Pattuglia. “Tale integrazione fra online e offline è necessaria. I nuovi mezzi non sostituiscono i precedenti ma si integrano, talvolta sussumono finalità e potenzialità, talvolta le enfatizzano. Il buon marketer oggi è sicuramente innovativo, sistematico, capace di integrare costantemente finalità, strategie e strumenti, con forti basi di conoscenza del consumatore e della sue evoluzioni, nonché dei mezzi e delle loro peculiarità. Bisogna anche conoscere bene la concorrenza. È un aspetto meno intuitivo ma su cui noi insistiamo potentemente: non si può fare un buon marketing, tantomeno innovativo, senza analizzare e costantemente monitorare i nostri concorrenti, sia diretti sia indiretti”.
E l’esperta mette anche in guardia dai falsi miti che stanno girando in questo ambito: “Un potente falso mito che gira ancora, nella vulgata sui social media, è indubbiamente la capacità estrema che viene loro attribuita di prendere per mano il consumatore e farlo diventare ‘cliente’ di un brand. La correlazione fra frequentazione dei social network e la capacità che essi hanno di trasformare ipso facto la persona in cliente è ancora tutta da provare, in maniera quantitativamente significativa (in termini di vendite). Certamente, oggi, nessuna impresa e nessun brand di prodotto-servizio può permettersi di rinunciare a ‘coltivare’ i propri consumatori, meglio se clienti, anche sui canali social. Una sempre maggiore integrazione degli stessi, integrazione che le aziende social stanno costruendo (basti vedere l’accordo recentissimo fra Twitter e Amazon per il click sull’acquisto attraverso un tweet) e una ‘rete’ integrata fra mezzi tradizionali e mezzi innovativi, rete che si stringerà attraverso attività coinvolgenti e intriganti, saranno sempre più capaci di guidare il consumatore verso il ‘carrello’, reale o virtuale che sia”.
Ma allora, è vero o no quanto sostengono alcuni recenti studi, ossia che il fenomeno dei social network stia perdendo la sua spinta espansiva? “Certamente, l’onda di riflusso (Facebook sta conoscendo ultimamente il fenomeno consistente della cancellazione dei profili da parte degli utenti) è indubbiamente un fenomeno che tutti i media vivono, al momento in cui l’effetto moda si attutisce”, conclude Pattuglia. “Certamente non è possibile affermare che tale assestamento ridimensioni la portata ‘epocale’ della trasformazione mediale cui stiamo assistendo e partecipando. La convergenza tecnologica, di marketing e comunicazione e di linguaggi è ormai acclarata, da essa non si recederà. I social media/network – nella loro edizione convergente e mobile – sono la vera grande killer application dei nostri tempi. I piani di marketing e comunicazione di tutte le imprese in tutti i continenti non potranno più, d’ora in poi, immaginare se stessi indipendentemente da una integrazione fra mezzi paid, owned e – sempre più – earned. La comunicazione efficace non si compra. Si guadagna, soprattutto”.